ECONOMIA DOMESTICA

In Piemonte già 7,8 miliardi del Pnrr, ma per la ripresa la zavorra è Torino

Sembra paradossale eppure l'economia regionale (+3,7% il pil del 2022) arranca proprio a causa del suo capoluogo. Basse performance tra il 2000 e il 2019. Le aspettative legate ai fondi europei. Il report di Bankitalia - DOCUMENTO

Il Piemonte ha già ottenuto 7,8 miliardi grazie al Pnrr. Si tratta di fondi assegnati agli enti pubblici, in particolare per progetti legati alla mobilità sostenibile e alla transizione verde. Basterà il Piano nazionale di ripresa e resilienza per far ripartire una regione che ormai da vent’anni arranca, zavorrata (paradossalmente) dal suo capoluogo? La scommessa è stata lanciata, Alberto Cirio e Stefano Lo Russo hanno creato un asse di ferro per gestire al meglio una pioggia di quattrini che dovrebbe finalmente rilanciare un territorio inaridito dalla crisi industriale e da una conversione che stenta a compiersi. A certificarlo è il rapporto della Banca d’Italia, secondo cui i fondi già assegnati al Piemonte corrispondono al 6,9% del totale nazionale.

“Il Pnrr sta prendendo il posto del Superbonus per l’economia piemontese” ha sottolineato Cristina Fabrizi di Bankitalia, illustrando i dati. Nell’ultimo biennio le amministrazioni locali piemontesi hanno avviato gare o stipulato contratti relativi al Pnrr per circa il 30% degli importi che dovranno bandire. In base alle stime nel periodo 2023-2026 i Comuni della regione dovrebbero incrementare i loro esborsi annuali per investimenti di una percentuale compresa tra il 70 e il 90 per cento e questo richiede “un miglioramento significativo della loro capacità realizzativa”. Gli investimenti collegati al Pnrr contribuirebbero in misura rilevante al valore aggiunto e all’occupazione nelle costruzioni dopo la fine della sbornia da Superbonus.

La vera incognita resta Torino, la città del Nord con le peggiori performance economiche negli ultimi vent’anni.  “Nei due decenni analizzati – si legge nel report – il capoluogo piemontese, analogamente alle altre aree metropolitane del Nord, è stato interessato da un graduale processo di deindustrializzazione e dal contestuale aumento della rilevanza dei servizi, pur mantenendo una specializzazione nel comparto manifatturiero”. Poi gli studiosi di Palazzo Koch aggiungono: “Tra il 2001 e il 2019 la quota degli occupati nei comparti manifatturieri a contenuto tecnologico alto e medio-alto è rimasta perlopiù stabile e superiore di circa 9 punti percentuali a quella delle aree di confronto; rispetto a queste ultime, tuttavia, Torino ha perso rilevanza nella componente high-tech, la cui incidenza nel 2019 risultava meno della metà rispetto a quella del cluster di confronto. Nello stesso periodo l’evoluzione della struttura occupazionale del terziario torinese è stata peggiore delle città di confronto nei settori tecnologici ad alta intensità di conoscenza (high-tech KIS), dove Torino ha perso il vantaggio comparato che aveva all’inizio del periodo di analisi”. Il pil torinese ha avuto una dinamica sfavorevole anche in termini pro capite: il differenziale, molto negativo già all’inizio degli anni duemila (pari a circa il -24%), si è ampliato durante la crisi del 2008-09, collocandosi nel 2019 attorno al -30%. Scomponendo tale divario nelle componenti demografica, occupazionale e di produttività del lavoro emerge che il peggiore andamento di Torino è attribuibile prevalentemente a quest’ultima, la quale tra il 2004 (primo anno di disponibilità dei dati sugli occupati a livello provinciale) e il 2019 ha sostanzialmente ristagnato.

Intanto, però, il Piemonte mostra piccoli segnali di ripresa. Nel 2022 l’economia regionale è ancora cresciuta ma a tassi più contenuti rispetto all’anno precedente in cui si scontava il rimbalzo dopo il crollo dovuto alle restrizioni Covid. Secondo il rapporto della Banca d’Italia l’attività economica è aumentata del 3,7% (in linea con il pil dell’Italia), un incremento pari a poco più della metà di quello del 2021 ma che ha comunque consentito il pieno recupero dei livelli di prodotto antecedenti la pandemia. La crescita è stata frenata dallo shock energetico e dal rialzo dei prezzi, che hanno avuto un impatto negativo sull’attività delle imprese e sulla domanda delle famiglie. Il parziale recupero degli ultimi due anni arriva dopo un ventennio profondamente negativo per l’economia piemontese. Tra il 2000 e il 2019 il pil a prezzi costanti del Piemonte è cresciuto dello 0,7%, a fronte di un incremento del 9,7 nel resto del Nord. Anche in termini pro capite il differenziale di crescita è stato negativo, seppure di entità più contenuta. Ed è proprio su tale andamento ha influito la deludente performance di Torino, soprattutto rispetto a quella delle altre città metropolitane del settentrione.

Nella media del 2022 l’attività è stata più intensa nelle costruzioni e nei servizi rispetto all’industria in senso stretto, dove la produzione è solo marginalmente cresciuta e il fatturato delle imprese si è lievemente ridotto in termini reali. L'edilizia è stata sostenuta sia dagli investimenti in opere pubbliche sia soprattutto dagli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica. Nel terziario la domanda è ulteriormente aumentata, grazie al consolidamento della ripresa dei consumi e del turismo. Le condizioni del mercato del lavoro sono ulteriormente migliorate. L’occupazione è ancora cresciuta (+1% ma rimane inferiore a quella del 2019): quella dipendente in particolare è stata trainata dall’aumento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, cui hanno contribuito le stabilizzazioni di posizioni a termine. È proseguito il calo del ricorso agli strumenti di integrazione salariale, che è stato comunque più elevato di quello antecedente la pandemia. Il numero di occupati è rimasto inferiore a quello del 2019. Il tasso di disoccupazione è sceso al 6,5%.

Il reddito delle famiglie è cresciuto del 5,4%, ma l’alta inflazione ne ha eroso il valore reale (riducendo quindi in potere di acquisto -1,5%). Il gap tra le famiglie meno abbienti e quelle benestanti ha raggiunto il massimo a fine 2022 (8,1 punti percentuali); prima di scendere a 4 punti lo scorso marzo. I prestiti alle famiglie sono aumentati (+4%) ma meno del reddito disponibile. Il grado di indebitamento si è così ridotto dal 50,3% al 49,4%. All’incremento, viene riferito, hanno contributo sia il credito al consumo sia i mutui. Tuttavia, la crescita si è indebolita nell’ultima parte dell'anno: vi ha influito il calo della domanda di mutui legato al rapido incremento dei tassi di interesse.

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