FIANCO DESTR

FdI, ritorno di fiamma (magica). Crosetto sotto il fuoco amico

Davvero Shrek non è più nel cuore di Giorgia? È quello che raccontano gli esponenti dell'ala identitaria del partito che sperano di ridimensionare il Gigante di Marene. Ma anche loro non sono messi bene, tanto che quando Meloni dovrà decidere per la Regione...

Il candidato presidente della Regione? “A noi!”. Ma noi chi? Perché se è vero che le pulsioni e le ambizioni di vedere uno (o una) dei loro guidare per i prossimi cinque anni il Piemonte, è altrettanto vero che oggi più di ieri è difficile avere un’immagine di Fratelli d’Italia, anche e vieppiù nella ridotta subalpina, compatta e sgombra da sempre più marcate posizioni e divisioni interne. 

Più che ormai sepolti nella storia tintinnar di sciabole, la vicenda del generale Roberto Vannacci evoca, anzi provoca attuali e concreti stridor di coltelli tra i Fratelli, con tutto quel che ne potrà conseguire di fronte ai prossimi appuntamenti elettorali, tra cui quello per la Regione oggi (e probabilmente pure domani) nelle mani di Alberto Cirio, su cui s’attende la parola dirimente di Giorgia Meloni

Sulla vicenda del libro dell’ex comandante della Folgore, la premier s’è tenuta a distanza dal fuoco incrociato, lasciando il ruolo di incursori a due fedelissimi come Giovanni Donzelli, che del partito è il coordinatore nazionale e al sottosegretario Galeazzo Bignami, quello che da giovane posava in divisa da nazista. È toccato soprattutto a loro, ma non solo, impugnare la torcia della fiamma magggica (come la Roma) con cui sbruciacchiare come a un pollo le penne di Guido Crosetto, incolpato (seppur mascherando le accuse con dichiarazioni fin troppo di maniera) di non aver difeso il generale, anzi di averlo punito (più in dichiarazioni che con atti), in maniera eccessiva. La linea del ministro della Difesa è nota, così come la sua posizione che non solo ha trovato contraltare in Matteo Salvini, pronto a incassare consensi da chi li riserva alle idee del generale, ma ha segnato in maniera evidente una, pur negata, crepa all’interno del partito. “Io sono diverso da chi mi attacca, da destra e da sinistra”, ha detto Crosetto certamente riferendosi, guardando a dritta, non solo a Gianni Alemanno e a quella destra su cui l’ex sindaco di Roma intende costruire un soggetto politico. 

Una diversità, quella marcata dal ministro, che si allarga e affonda nelle sue origini politiche così come in quelle di tutti gli altri come lui che non hanno le radici nel Msi e nei suoi epigoni, che non hanno nel cuore quella fiamma oggi maneggiata per arrostire ma non meno a diventare un grosso cerino pronto a scottare che lo tiene tra le dita. Già, perché l’operazione innescata dal mondo al contrario di Vannacci è evidente che si prospetta come rischiosa per chi, pur tra le citate (e un po’ ipocrite) attestazioni di stima al ministro della Difesa, non nasconde l’intento di una sorta di supremazia identitaria rispetto a quelli che, nonostante Crosetto di FdI sia addirittura il cofondatore, non arrivano dalle parti di Colle Oppio e non portano nell’album di famiglia Giorgio Almirante e altri del Pantheon missino.

Mentre incassa il plauso dalla sinistra e dei giornali di quella sponda, nel gioco di spaccare il fronte nemico, Crosetto certamente non può dirsi possa fare altrettanto sul piano politico e interno al partito. Insomma, la vicenda e tutto quel che ne consegue, non gli giova. E non ci sono segnali che possa accadere il contrario anche nella partita, quasi tutta ancora da giocare, sul terreno di casa per le regionali piemontesi. Però questo non significa affatto che avvantaggi “gli altri”, ovvero coloro più lontani da quella che essi definiscono la banda Crosetto e più vicini, anzi parte, dell’ala identitaria, quelli cresciuti nel mondo di mezzo abbeverati ai miti tolkeiniani e che vantano il comune reducismo di Atreju.

Non sono poche le grane di cui sono o sono stati protagonisti esponenti piemontesi di rilievo nazionale, ben prima di quella sollevata dal libro del generale. Più della vecchia foto in gita a Predappio, su Augusta Montaruli ha pesato la condanna per la Rimborsopoli regionale, a fronte della quale ha dovuto lasciare la carica di sottosegretario all’Università. Sottosegretario alla Giustizia lo è ancora, un altro erede della tradizione missina come Andrea Delmastro, il prossimo 29 novembre davanti al giudice dell’udienza preliminare per l’inchiesta che lo vede indagato per rilevazioni d’atti ufficio nella nota vicenda delle notizie passate al suo coinquilino Donzelli sul caso Cospito. Considerando tra i piemontesi pure la ministra del Turismo Daniela Santanchè e le grane della sua Visibilia, ne emerge un quadro dove non solo gli attacchi a Crosetto risultano affidate a tiratori che debbono tenere d’occhio a non spararsi sui piedi, ma soprattutto non metterà granché di buonumore la Meloni quando si tratterà di decidere chi candidare alla presidenza della Regione. 

Un partito, il suo, che nella regione la cui guida fa certamente gola ai Fratelli, è segnato se non diviso in correnti e che anche all’interno di quell’area post missina presenta segnature importanti: un conto è la coppia biellese Delmastro ed Elena Chiorino (assessore regionale il cui nome si evoca come possibile candidata presidente), un conto è l’altra coppia Atreju, quella torinese di Montaruli e Maurizio Marrone (pure lui in giunta regionale). Stessa origine, marcature differenti nella geografia regionale del partito. La stessa figura storica della destra piemontese di Agostino Ghiglia, oggi all’Authority della Privacy e apparentemente un po’ defilato, pur avendo costruito un asse con Crosetto, non nasconde una forte autonomia insieme al suo gruppo dove, tra gli altri, ci sono la parlamentare Paola Ambrogio con il marito Roberto Ravello, ex assessore oggi nello staff di Cirio.

Pure da quella frangia non mancano giudizi poco lusinghieri sulla “banda Crosetto”, in larga parte ex Dc o Psi, di cui fa parte il fedelissimo coordinatore regionale e parlamentare Fabrizio Comba, insieme al senatore Gaetano Nastri. Altri si barcamenano, cercando di svicolare le trappole. È il caso del “caimano” Paolo Bongioanni (capogruppo in Regione e assai vicino alla Santanchè, più ancora al di lei fratello Massimo Garnero) e del rampante sindaco di Casale Monferrato Federico Riboldi. Entrambi vicecoordinatori regionali a marcare stretto Comba.

Non basterebbero le sette spose per tutti i Fratelli, con le loro correnti e correntine, del Piemonte. E, dunque, se la premier quando le toccherà decidere se ricandidare Cirio o puntare su uno dei suoi si sentirà chiedere “il candidato? A noi!” non potrà che rispondere: noi chi?

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