SANITÀ

Medici sempre meno "di famiglia"

Restano scoperte molte borse di studio in tutta Italia. I sindacati: "Professione meno attrattiva e sempre più affogata nella burocrazia". In Piemonte 136 iscritti al corso su 159 posti. Venesia (Fimmg): "Trattative con la Regione per coprire sedi vacanti"

Questo non è più il Paese del dottor Tersilli. I feroci sgambetti tra colleghi per accaparrarsi quanti più assistiti possibile e la corsa senza esclusione di colpi per diventare, finalmente, “il medico della mutua” raccontati nell’omonimo film con Alberto Sordi, oggi sono cancellati da una realtà capovolta. Fare il medico di famiglia, figura di cui c’è sempre più bisogno, attrae sempre meno.

L’ultimo test di ammissione al corso di formazione in Medicina Generale ha visto dimezzato il numero di partecipanti rispetto alle domande presentate. Ma non è questo il dato più allarmante per il futuro, ma anche per un presente dove a fronte della notevole carenza di personale una serie di deroghe consente ai futuri medici di famiglia di lavorare già durante il corso. Salvo rare eccezioni, come la Campania e il Lazio, le regioni da Nord a Sud hanno visto meno iscritti rispetto al numero di posti messi a disposizione. In Lombardia344 candidati a fronte di 416 borse di studio, in Toscana 150 su 200 posti, in Veneto dove i posti erano 212 a presentarsi sono stati appena 186 e se il fondo della classifica lo si è toccato nelle Marche con 81 aspiranti contro 155 posti, non tanto meglio va in Piemonte dove i posti del corso erano 159 e si sono presentati soltanto in 136.

Numeri che sono destinati a ridursi ulteriormente per le defezioni che, ormai da qualche anno, segnano i corsi, con laureati che optano verso altre specializzazioni o, fenomeno assai più recente, decidono di lavorare, guadagnando assai di più, per società private o cooperative che forniscono personale agli ospedali. Gli stessi ospedali da cui continua un esodo, più o meno ingente, di camici bianchi che decidono di lasciare la corsia proprio per fare il medico di famiglia. Un fenomeno che, secondo alcune analisi, sarebbe alla base della tendenza inversa registrata nell’adesione ai corsi a Roma dove per 207 posti hanno concorso in 407 e a Napoli dove a fronte di 225 posti ci sono state 300 domande. Questo perché se il passaggio diretto dall’ospedale alla medicina generale è possibile per coloro i quali sono stati abilitati alla professione prima della riforma del 1993 che ha introdotto la formazione specifica in Medicina Generale, per chi è diventato medico dopo il corso triennale resta invece indispensabile. 

Tornando alla scarsa attrattività della professione del medico di famiglia, è proprio con quei numeri bassi che appare ancora più complicato uscire dalla situazione di crisi con un organico el tutto inadeguato alla popolazione. In Piemonte, come ricorda Roberto Venesia, segretario regionale della Fimmg, il maggior sindacato di categoria, “i posti di medicina generale tuttora scoperti sul territorio piemontese sono oltre 400” e sono sempre di più i professionisti che fanno fronte a questa carenza superando, grazie a una deroga, il limite massimo fissato per legge di 1.500 assistiti, arrivando in non pochi casi all’ulteriore soglia di 1.800. Una professione, quella del medico di medicina generale, per Angelo Testa, presidente nazionale del sindacato autonomo, e non solo per lui, “sempre più intrappolata in una rete burocratica e afflitta da condizioni economiche difficili, con stipendi erosi dall'inflazione, costi degli affitti degli studi in aumento e l'impennata dei costi legati alle tecnologie digitali”.

Motivi che portano sempre più spesso ad abbandoni anticipati della professione, con il conseguente accentuarsi di quelle sedi scoperte di cui parla Vanesia, questione per cui gli stessi sindacati in Piemonte stanno trattando con la Regione per una serie di correttivi. “Uno dei tanti problemi è rappresentato dai tempi lunghi che ancora segnano i bandi per cercare medici disposti a lavorare nelle sedi attualmente senza professionista. Abbiamo chiesto alla Regione – spiega Venesia – di far sì che le Asl riducano al massimo a tre mesi la distanza tra i bandi e che una volta assegnato l’incarico, il nuovo medico riceva immediatamente le quote in surplus rispetto alla soglia dei 1.500 assistiti dai colleghi dello stesso territorio. Si tratta di un incentivo ulteriore e di una garanzia per chi accetta di lavorare in un posto oggi scoperto”. Posti, quelli dove il medico non c’è e non si trova, che rischiano di aumentare ancora se, come osserva non senza preoccupazione Venesia “aumentano i medici di medicina generale che lasciano quel ruolo dopo pochi anni. Cosa mai accaduta prima”.

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