Irregolari non i lavoratori, ma le aziende

I diritti sociali rimangono prioritari, a maggior ragione dopo la tragedia di Firenze, per il benessere complessivo della persona e perché assieme ai doveri sociali tutelano sul versante salariale, della salute e della sicurezza, dell’ambiente non solo in ambito lavorativo. Perché la tragedia di Firenze, con l’ultima strage di lavoratori, mette in evidenza questa priorità che dovrebbe essere di tutti? Dai partiti, soprattutto di sinistra, al sindacato, al governo.

Intanto perché ci dice che il problema dell’immigrazione dovrebbe essere affrontato in modo diverso, certamente anche sulle coste italiane e nel mar Mediterraneo ma con una riflessione non ideologica su ciò che già esiste sul territorio sia di integrato sia di sommerso. È certamente difficile farlo quando nelle statistiche sull’occupazione si considera, per la sua spesso citata crescita, anche il lavoro nero. Quasi a ritenerlo ormai una normalità.

Tra quelle vittime la maggioranza erano stranieri integrati o in nero. Molti titoli di giornali li definivano lavoratori “irregolari”. Ecco il primo punto, gli irregolari o meglio le irregolari sono le imprese che creano lavoro nero, sottopagato e non versando contribuzione creano danno alla società.

Il secondo dato che emerge è che i lavori a più bassa qualifica, l’unico italiano deceduto era addetto alla gru, cioè il lavoro più qualificato, sono svolti da personale non italiano regolare o meno. Insieme al fatto che, al di là dell’opinione della Lega, le imprese richiedono forza lavoro straniera perché molti lavori non sono più svolti dagli italiani. Abbiamo un Paese dove, tra le altre cose, ci sono tassi di laureati più bassi della media europea e al contempo non si vogliono più fare i lavori a bassa qualifica. Ricordo lo stucchevole dibattito, per fortuna tramontato, sulla dignità del lavoro rapportata alla fatica come se un lavoro faticoso non fosse dignitoso.

D’altra parte, insieme a tanti giovani con un titolo di studio che arrivano in Italia, per chi parte dai lavori più dequalificati e gravosi vedo lo stesso percorso di chi migrò dalle campagne del Sud, del  Veneto o anche noi astigiani che percorremmo nemmeno cento chilometri per avere un futuro migliore e ciò avvenne praticamente a  partire già dalla generazione dei figli non secoli fa ma negli anni ’60-’70. Lo stesso sta accadendo per le famiglie extracomunitarie con occupazione stabile.

Allora non parliamo di lavoratori irregolari ma di imprese irregolari che vanno perseguite, domandandoci se nelle gare d’appalto al massimo ribasso  usano materiali più scadenti, usano meno cemento. Nella tragedia di Firenze spicca non solo il numero sproporzionato di imprese, di lavoratori autonomi e/o partite iva, bisognerà verificare anche se ci sono stati cedimenti strutturali a causa di materiale scadente.

Il punto rimane uno, il resto è una conseguenza: perché il governo ha modificato il sistema di gare d’appalto passando da “l’offerta economicamente più vantaggiosa” per tutte le gare di importo superiore ai 500mila euro o ai 210mila per le forniture di servizi, sostituendola con quella del “massimo ribasso”?

Sistema che, oltretutto, manteneva chiara la filiera del subappalto in cui chi vince la gara d’appalto deve essere responsabile e rispondere sotto tutti i punti di vista per tutta la filiera del subappalto. Come non convince l’idea punitiva e non premiante della patente a punti. Puntiamo sempre a reprimere anziché creare un sistema basato sul merito dove azienda e lavoratore siano stimolati a rispettare i DPI, le procedure di sicurezza collettiva(interessante l’immagine di oggi, martedì, ai vari tg del ministro Urso e tutto l’entourage in visita all’Ilva senza casco in testa), la formazione necessaria e tutto ciò sia premiato in termini economici, contributivi, di sgravi. Un sistema punitivo incentiva a violarlo per evitare sanzioni; un sistema premiante incentiva a rispettarlo per acquisirne un tornaconto. L’esperienza sindacale mi dice che laddove abbiamo applicato tale schema si è innescata una consapevolezza virtuosa che ha ridotto gli infortuni. Infine  andrebbe valorizzato il lavoro fatto a Torino tra Cgil-Cisl-Uil, Enti Locali, Spresal, Prefettura e altri attori per la sicurezza e la prevenzione nei luoghi di lavoro e nei cantieri. Un lavoro utile anche per evitare che dopo ogni strage sul lavoro si ripetano slogan e impegni che poi cadono sistematicamente nel vuoto.

Per finire, cinicamente, siccome lo slogan “basta morti sul lavoro” è uno di quelli che lasciano il tempo che trovano perché temo irrealizzabile proviamo a guardare, realisticamente, i dati i quali ci dicono che le morti sul lavoro e in itinere nel 2018 erano 1282 e nel 2019 sono scese a 1235. Abbiamo l’impennata nell’anno del Covid con 1709 e poi da allora sono sempre scese per i successivi anni (1425 nel 2021 e 1208 nel 2022) sino ai 1041 del 2023 di cui i morti in itinere, 242, sono i più bassi tranne che nel 2020 (232).

Statisticamente la media dei primi 50 giorni del 2024 con 181 morti sul lavoro ci porterebbe di nuovo a oltre 1300 decessi nell’anno in corso. Un deciso e tragico rialzo inaccettabile dove non servono aggiustamenti fittizi e arzigogolati ma bisogna andare al nocciolo del problema: rivedere il codice degli appalti magari estendendo le regole e procedure del Codice degli appalti pubblici anche ai grandi cantieri privati, rendendo più trasparente e sicuro il lavoro nei cantieri. Lo si può fare anche affrontando il nodo della precarietà estendendo il concetto di diritto sociale al dovere sociale di tutti a partire dalle imprese.

 

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