Stanamore d'Europa

La Pace, negli ultimi tempi, sembra un’utopia lontana, irrealizzabile. In passato, quando si fronteggiavano i due blocchi geopolitici nati nel secondo dopoguerra, si ponevano grandi speranze per le nuove generazioni: eravamo tutti convinti che i giovani avrebbero rigettato, spontaneamente, l’uso della violenza per risolvere le dispute tra le nazioni. Le guerre sarebbero allora appartenute al passato, a quelle barbarie in cui si raggruppano anche le devastazioni ambientali e lo sfruttamento delle persone: eventi da archiviare nella voce “antichi riti tribali”, poiché incompatibili con i giovani e il loro carico di entusiasmante creatività.

Un errore di valutazione incredibilmente grande. Attualmente i guerrafondai più determinati nell’abbandonare la diplomazia, a favore dell’industria bellica, sono proprio i politici di trenta/quarant’anni. Donne e uomini in carriera che parlano di scenari apocalittici senza battere ciglio; personaggi che si trovano in perfetta linea con i vecchi tromboni dal grilletto facile. 

Gran parte dei sostenitori dell’industria delle armi sono infatti deputati (nazionali ed europei) e giornalisti che hanno alle spalle un percorso di studi universitari improntati sul neoliberismo “spinto”, e che fanno a gara tra loro per sostenere un’Europa incentrata sull’economia aggressiva, anche a costo di sacrificare la tutela dei diritti sociali. Un centro di potere freddo, cinico e incapace di fornire alle popolazioni le vere ragioni che avviano speditamente l’Occidente verso la Terza guerra mondiale.

I cittadini dell’UE (forse non tutti, ma sicuramente quelli italiani) sono avvolti da una valanga di informazioni. Notizie che, paradossalmente, mascherano un’operazione gigantesca di disinformazione collettiva. Nulla è dato sapere su quanto davvero avviene a Gaza, dove il nazionalismo e il controllo delle risorse naturali sono costate la vita a decine di migliaia di civili; niente si scrive sulla Russia e il suo sistema parlamentare. Tutto viene rappresentato per semplici schemi adatti al pubblico, cosicché non si possa andare oltre alla dicotomia “buoni contro cattivi”. 

Guardando alla composizione della Duma della Federazione Russa, è facile riscontrare la maggioranza schiacciante in capo al partito di Vladimir Putin, Russia Unita: formazione di stampo conservatore e liberale, caratterizzata inoltre da qualche tutela nei confronti dello statalismo. Una delle prime riforme attuate da Putin riguardò il nuovo inno della Federazione, ottenuto togliendo da quello sovietico qualsiasi riferimento al Socialismo e inserendo al contempo numerosi richiami a Dio. 

All’opposizione si trova il Partito Comunista della Federazione Russa, che ha toccato il 19% dei consensi alle consultazioni politiche del 2021 (in passato aveva superato l’asticella del 30%). Il Partito Comunista ha sempre avuto parole di forte condanna verso quella che i suoi leader definiscono “la svolta nazional borghese dello Stato”, ed ha avversato con determinazione partiti di marcato stampo patriottico, quali “Grande Russia” e il “Partito Nazionale Socialista”. A Mosca, nelle ultime consultazioni amministrative, i comunisti hanno superato il partito del Presidente Putin. 

Una galassia politica assedia, quindi, “Russia Unita”: dai nazional bolscevichi, a molte formazioni nazionaliste di destra e i tanti (quanto variegati) partiti socialisti. Specialmente nelle grandi città, dove il disagio sociale è subentrato al Socialismo Reale, Vladimir Putin non gode di una maggioranza assoluta, anzi è messo a rischio soprattutto da partiti marcatamente nazionalistici (i cosiddetti patrioti falchi), che godono la simpatia della borghesia, e dai socialisti stessi (premiati soprattutto dalle classi subalterne).  

I nostri media purtroppo ritengono non sia utile fornire quadri più precisi delle società di Paesi definiti “nemici”, e, sull’altro versante, non desiderano andare oltre alla retorica di guerra neppure quando si tratta degli alleati militari. Nel caso specifico si chiude più di un occhio sulla gestione del potere da parte di Zelensky. 

In Ucraina sono stati messi al bando numerosi partiti, quasi tutti di ispirazione socialista (strana coincidenza), mentre le prossime elezioni presidenziali sono state rinviate sine die. Pacifisti e dissidenti sono perseguitati, mentre il piglio autoritario del Presidente ucraino oramai varca i confini del Paese che governa. Il leader di Kiev, infatti, ha rimarcato di recente la pretesa che i premier occidentali inizino a schedare tutti gli “amici di Putin” (ossia tutti coloro che non la pensano come Zelensky, e magari neppure come Putin quando invocano la Pace): proposta che non ha scatenato alcun moto di sdegno da parte dei nostri partiti; non è quindi da escludere che in futuro venga autorizzata la ricerca di dissidenti nella democraticissima Europa (quella di un tempo, oggi molto meno).

In un quadro internazionale retto dalla follia assoluta, i politici europei fanno a gara a chi mostra i muscoli con maggior vis bellica nei confronti di Mosca. Il Presidente Macron vorrebbe inviare addirittura soldati francesi sul fronte russo, mentre i Verdi tedeschi (un tempo ambientalisti di Sinistra e pacifisti) rilanciano, proponendo di dotare l’Ucraina di missili a lungo raggio (in grado di colpire la capitale della Federazione).  

Ursula von der Leyen ha trasformato un’istituzione fondata per garantire la Pace al Vecchio Continente, nella succursale della Nato. La sua ultima affermazione, “faremo appalti unici per comprare armi, esattamente come fu fatto per i vaccini”, un tempo avrebbe fatto tremare i polsi a tutta la Sinistra europea, oggi invece nessuno ha osato mettere in discussione questa ennesima dimostrazione di bellicismo europeo estremo (condiviso pure da molti opinionisti televisivi Rai). 

Sulla tesi “Combatta il popolo oltre la Morte (quella del popolo naturalmente) si concentra una sorta di unanimismo che parte dalla destra (conservatori e nazionalisti) e arriva sino alla sinistra progressista. Di quest’ultima sono degni rappresentanti dei guerrafondai sia il Segretario Nato, Stoltenberg, che il candidato progressista alle prossime presidenziali francesi Raphael Glucksmann (eurodeputato sposato con Eka Zgouladze, viceministro ucraino).

Un contesto di tal genere, retto da visioni personalistiche e interessi da ambo le parti, non può che essere la premessa di un conflitto devastante. Comprendere le ragioni di questa fanatica caccia alle streghe anti pacifista (i media definiscono i pacifisti gli “utili idioti di Putin”) non è facile: certo non regge l’alibi del timore che la Russia ci invada tutti appena finito con l’Ucraina (ma qualcuno crede davvero a questa demenziale quanto surreale ipotesi?).  

I morti non indignano più nessuno, neppure il centinaio di civili ammazzati a Gaza perché “troppo ammassati ai carri armati”, e le bombe cadono sempre molto lontano dai nostri caldi letti. L’Occidente raffigura il Bene, e se qualcuno esprime qualche dubbio in merito, bastano un po’ di manganellate per fargli cambiare idea. Fortunatamente negli Usa, Paese in cui ora si può dissentire più che in Europa, in tanti si chiedono se non siano gli Stati Uniti stessi l’Impero del Male, e tra questi spicca uno dei candidati ad occupare la Casa Bianca: Robert Francis Kennedy Jr. 

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