SACRO & PROFANO

Novara "contesa" tra Brambilla e Repole

Il vescovo uscente vuole assicurarsi che sia un lombardo a succedergli sulla cattedra di San Gaudenzio. Ma a Torino hanno altri piani: la "promozione" di Prastaro che lascerebbe Asti a un altro "boariniano", l'attuale parroco di Santa Rita Rivella

Dalla corte di Santa Marta. Come lo Spiffero aveva previsto, l’astro nascente della diocesi di Novara, monsignor Filippo Ciampanelli, classe 1978, ordinato nel 2003, finora consigliere di Nunziatura in servizio alla Segretario di Stato, è stato promosso sottosegretario del Dicastero delle Chiese orientali. Sembra che il Santo Padre lo apprezzi molto, soprattutto dopo avergli affidato durante il suo periodo di indisposizione, la lettura all’Udienza generale delle sue catechesi. A presto l’elevazione all’episcopato.

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Il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, ha incontrato il nuovo nunzio apostolico in Italia, monsignor Petar Rajič, secondo alcuni ben informati, gli avrebbe significato di non interrompere la lunga tradizione che vede sulla cattedra di San Gaudenzio sedere da sempre un lombardo e mai un piemontese – magari proveniente da Torino – che non sarebbe gradito al clero novarese. Trovano infatti ancora conferma le voci che vedono l’arcivescovo Roberto Repole spingere verso Novara il suo sodale di cordata, il vescovo di Asti, monsignor Marco Prastaro. Al posto di quest’ultimo, lo stesso Repole indicherebbe, il parroco di Santa Rita e vicario per l’economia, monsignor Mauro Rivella, da sempre il più episcopabile della nidiata “boariniana” oggi al comando e anche il più politico del gruppo.

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Come un cero che si consuma, così la diocesi di Susa si avvia verso l’estinzione. Domenica scorsa, nella cattedrale di Susa il vescovo Repole ha ordinato un nuovo diacono che presto sarà sacerdote, il primo dopo vent’anni. La sua omelia ha commentato il Vangelo dei discepoli di Emmaus: convivialità, condivisione della tavola, amicizia ecc. e che rispecchia un po’ la sua presenza in diocesi, una presenza che non si impone, sempre cordiale, sorridente, attento all’ascolto, ma sempre con molta fretta di andare via. Compare e scompare, dovendo correre per tutta l’Italia dove viene invitato a tenere conferenze e a promuovere, con il «modello torinese», anche sé stesso. In curia a Susa si coglie un senso di abbandono, di smarrimento e di fine corsa. Sono in molti a pensare che si giungerà presto a un’unica diocesi. Alcuni uffici sono ormai accorpati a Torino che sovrintende con discrezione, il vicario generale non è più rettore del seminario di Susa, il settimanale diocesano è stato affidato ad una giornalista di Torino, così per gli uffici riguardanti la catechesi. Purtroppo, anche la cattedrale di Susa, che ancora resisteva, sarà presto scempiata e si metterà mano al famigerato «adeguamento liturgico».

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Don Sergio Baravalle, parroco della Divina Provvidenza ed ex rettore del seminario, invita a prendere sul serio le prossime elezioni regionali e, dicendosi entusiasta del corteo del 12 aprile scorso per il futuro di Stellantis, manifesta preoccupazione per una temuta astensione dal voto e per il consenso a quei partiti «che meglio interpretano le frustrazioni e le sofferenze di buona parte della popolazione». Non lo sfiora minimamente il fatto che l’Europa, rifiutando di darsi una identità, sia sostanzialmente abortita così come il diritto che vuole introdurre nella sua costituzione che non ha nulla a che vedere con il sogno europeo dei suoi veri fondatori che furono, non a caso, proprio tre cattolici: Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi e Robert Schumann.

Sono passati trentadue anni dal trattato di Maastricht ma l’Europa non è ancora un soggetto politico, autonomo e sovrano, con una sua forza militare e una sua diplomazia perché, come recentemente sostenuto da Ernesto Galli della Loggia, essa non ha e non vuole avere una identità e ha smarrito il senso della sua storia. La politica non è solo la gestione del potere e governo della moneta, priva di radici non fiorisce e non dà frutti. Lo vediamo in Ucraina, a Gaza e ovunque dove, accomodandosi sotto l’ombrello della Nato e degli Usa, l’Unione Europea scansa ogni responsabilità e non assume nessun ruolo strategico di equilibrio con capacità autonoma di negoziare. Avendo negato le sue matrici greco-romane e cristiane – come vanamente l’aveva esortata san Giovanni Paolo II – il progetto di costituzione abortì. Forse un prete, o anche solo un cristiano che non sia succube del mainstream dominante, dovrebbe aver compreso da tempo che l’attuale Europa delle banche e dei banchieri, ridotta alla reductio economica e che chiede continuamente scusa al mondo di esistere con l’ideologia woke, il politically correct e la cancel culture, non approderà da nessuna parte e l’astensione dal voto aumenterà.

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Per la prima volta papa Francesco ha parlato dei valori non negoziabili (che quindi esisterebbero!) ma lo ha fatto a modo suo. Durante l’udienza generale di mercoledì scorso, trattando della virtù della temperanza perché «in certi casi il temperante riesce a tenere assieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia». Insomma, solo una questione di buone maniere e di «giusta misura».

Anche san Pio X, il papa della lotta al modernismo, è stato ricordato da Francesco nella prefazione ad un libro sul pontefice veneto scritto da un monsignore della Segreteria di Stato. Papa Sarto è «un papa che sento vicino in questo momento tragico della storia». Non solo: «un papa mite e forte. Un papa umile e chiaro. Un papa che fece capire a tutti che senza eucaristia e senza assimilazione dele verità rivelate, la fede personale si affievolisce e muore». Ma anche, diciamo noi, il papa della Pascendi, l’enciclica con la quale fulminava gli errori del modernismo. A rileggere oggi le proposizioni condannate sembra di vivere nell’oggi del teorizzato e vissuto teologico della Chiesa.

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