Una (ri)scossa della politica

L’utopia è stata allontanata dallo scenario politico poiché sostituita da un pragmatismo molto terreno, ed intriso di autoreferenzialità. Il super neo liberismo detiene oramai il monopolio ideologico, mentre gli eletti nelle istituzioni durante la campagna elettorale affermano di rappresentare tutti gli interessi della collettività di appartenenza, mentre nella maggior parte dei casi agiscono solo per soddisfare i propri bisogni egoistici.

Periodicamente, balzano all’onore della cronaca le patetiche vicende del candidato che, in cambio di un pugno di voti di preferenza, dispensa incarichi, regala privilegi e “cortesie”. Tessere autostradali, abbonamenti per accedere ai settori vip dello stadio, raffigurano il livello più basso del “tu fai un favore a me e io ne faccio uno a te”: un livello a cui ne possono seguire altri decisamente più impegnativi per chi siede nelle sale del Parlamento, o in quelle consiliari. 

Le ultime pietose vicende che riguardano le amministrazioni pubbliche sono parte di un lungo degrado morale ed etico. Un degrado che generalmente spazia dalle ricariche telefoniche, regalate per ottenere un pacchetto di voti, a un corposo incremento delle assunzioni nelle società partecipate “tramite raccomandazione”. Incarichi lavorativi assegnati con il fine di creare un piccolo esercito di cittadini fedelissimi, grati al benefattore di turno, e quindi pronti a sostenere con forza, e ciecamente, il candidato che ha procurato loro la busta paga.

Il fenomeno viene definito “voto di scambio” ed ha interessato nel tempo un ampio arco di forze politiche. Pratica illegale che falsa la competizione elettorale e crea, al contempo, una casta politica ricca, dotata di risorse economiche tali da poter condizionare il risultato delle urne. La fitta relazione clientelare, realizzata usando soprattutto soldi pubblici tramite la generosa erogazione di contributi, fabbrica eletti la cui preoccupazione è esclusivamente quella di essere riconfermati a fine mandato. Un timore che costringe costoro a lavorare con la preoccupazione di non andarsene a casa, e che al contempo conduce la loro azione politica al cosiddetto “piccolo cabotaggio”: la creazione di un percorso politico che non affronta i grandi temi, ma che si dedica unicamente alla soddisfazione degli innumerevoli interessi espressi dalle lobby.

Le aule consiliari, di conseguenza, tendono a riempirsi di individui senza particolari visioni politiche, pronti a collaborare anche con gli avversari pur di tenersi a galla. Una sorta di riproposizione della melassa politica denunciata in passato dalla Sinistra movimentista: melassa che oggi non tende a mettere insieme diverse tendenze ideologiche, ma correnti incentrate sui singoli individui e i loro accoliti.

La vicenda di cronaca che ha coinvolto i Democratici torinesi si somma a molte altre simili, caratterizzate da una gestione non trasparente, e a volte addirittura illegale, dei fondi usati in campagna elettorale (solitamente i finanziatori sostengono il candidato chiedendo poi una contropartita). Le stesse fondazioni estere, in gran parte statunitensi, sono da tempo impegnate a sostenere i candidati italiani “più affidabili”. Un fenomeno inquietante che (a quanto pare) sta iniziando a intaccare anche quei gruppi eredi della Sinistra alternativa, un tempo immune da condizionamenti esterni. 

Alla vigilia del 25 aprile, della Festa della Liberazione, sarebbe doveroso che le istituzioni democratiche si chiedessero cosa è rimasto davvero dei grandi valori repubblicani nati dalla vittoria sul nazi-fascismo. Una riflessione attualmente difficile, poiché sono scomparse le forze politiche parlamentari che esprimevano statisti capaci di lavorare per il Paese, con un impegno diretto a migliorare oggettivamente la qualità della vita di tutti (e senza mai vendere i principi su cui erano stati istituiti).

La lotta partitica oggi si combatte tra personalismi, tra correnti guidate da leader capaci di sterzare a Destra per ragioni di calcolo individuale; pronti ad abbandonare (senza pensarci troppo) le radici ideali e i militanti che hanno creduto in loro. Politici non politici, poiché totalmente freddi di fronte alle sorti delle loro comunità e del territorio: cinici manager di sé stessi, incuranti della sorte dei propri elettori, nonché della Costituzione nata dalle ceneri del fascismo. 

La festa della Liberazione, che quest’anno cade in un clima di censura (la vicenda Scurati è davvero inquietante), deve essere un insegnamento rivolto a tutte le generazioni. Festeggiare affidandosi alla sola retorica, oppure alla semplice rievocazione storica, significa contribuire ad alimentare disinteresse, astensionismo e carrierismo dei soliti noti. Quando gli elettori non votano in massa il fascismo moderno è pronto a prendere in mano le sorti della nazione: in Italia l’astensionismo, determinato dalla crescente sfiducia verso la classe politica, tocca oramai il 60%.

Buon 25 Aprile a tutte e tutti, nel nome della riscossa di questa stanca, inaffidabile e logora classe politica!

print_icon