FINANZA & POTERI

Nel mirino il Cda "ammazza presidenti". Commissario alla porta della Crt

Con la spartingaia notturna i quattro dell'Ave Maria hanno segnato il loro destino. E affossato definitivamente la credibilità della fondazione. Lo Russo e Cirio tentati dall'azzeramento del board, ne parleranno (ancora) venerdì con Giorgetti. E circolano già i nomi

Un commissario o un nuovo presidente? La partita per dare una guida alla Fondazione Crt dopo le dimissioni di Fabrizio Palenzona è del tutto aperta. In tribuna, ovvero tra i rappresentanti istituzionali e gli stakeholder, così come sugli spalti degli ambienti economici e finanziari, mentre si attende il dirimente pronunciamento del Mef cui spetta l’eventuale decisione di commissariare l’ente, ci si interroga su quale delle due strade sarebbe auspicabile. Ieri il Consiglio d’amministrazione si è intanto portato avanti definendo il calendario dei prossimi appuntamenti: una riunione del Consiglio di indirizzo il 7 maggio per l’insediamento ufficiale, una seduta il 14 maggio per la cooptazione del consigliere mancante, portando così a 22 il numero dei membri come previsto dallo statuto e, infine, il 21 maggio si terrà la riunione nella quale sarà nominato il nuovo presidente. Un atto imposto dalle norme ma anche l’evidente tentativo di scongiurare una decisione che segnerebbe la fine anticipata del board.

L’affidamento temporaneo della cassaforte di via XX Settembre a una figura scelta dal ministero dell’Economia, con il conseguente azzeramento dell’intero Cda, non trova molti precedenti nel Paese. L’unico che viene evocato, quello relativo alla Fondazione Banco di Napoli per la quale il Tesoro intervenne nel 2018, non può certo giovare all’immagine della Crt, una delle prime quattro fondazioni per importanza e patrimonio a livello nazionale, tra le cui partecipazioni annovera quella in Unicredit. Ma è la reputazione dell’intero territorio, il tanto sbandierato rigore sabaudo, ad uscirne a pezzi. La situazione, insomma, è delicata e tutti – a cominciare dagli inquilini di Palazzo Sella (il ministro Giancarlo Giorgetti e il direttore generale del ministero Marcello Sala) – si muovono con i piedi di piombo. In attesa di ricevere e valutare la mole di documentazione richiesta (verbali degli organi di governo e di indirizzo) viene scrupolosamente esaminato l’esposto inoltrato da Fabrizio Palenzona, accompagnato da pareri legali e da una serie di materiali (scritture private, screenshot di messaggi, estratti di conversazioni su chat) che nelle intenzioni dell’ex presidente dimostrerebbero l’opacità regnante in via XX Settembre e giustificherebbero il drastico intervento dell’Autorità di vigilanza. Va accertato se il famigerato “patto occulto” volesse nei fatti costituirsi come centro decisionale parallelo (“una fondazione nella Fondazione”) e in che modo possa aver influito nelle ultime determinazioni degli organi ufficiali, fino a contribuire alla defenestrazione del segretario generale Andrea Varese, alle successive dimissioni di Palenzona e alla spartizione delle cariche nelle società partecipate tra i quattro consiglieri “frondisti” (Davide CanavesioCaterina BimaAntonello Monti Anna Maria Di Mascio).

Che la situazione sia fortemente compromessa non ci sono dubbi, eppure ben prima del terremoto di questi giorni alcune violente scosse interneavrebbero dovuto avvertire dell’imminente pericolo. E questo anche durante l’ultimo periodo della presidenza di Giovanni Quaglia, dove nel cda “volavano i coltelli” e la fiducia recioroca era così salda da dover ingaggiare una società di security per contenere le fughe di notizie e stanare “spioni e spifferatori”. Investimenti contestati, incetta di poltrone da parte dei soliti noti, prove di fedeltà ricompensate con incarichi professionali e i consueti veleni da bassa corte. Fino ad arrivare alla lotta senza quartiere per la conquista della presidenza con repentici cambi di campo e improvvise conversioni. Tutto tristemente noto.

Un clima che oggi scoraggia e, forse, dissuade le istituzioni a cercare un nuovo vertice della Crt senza soluzione di continuità. Chiunque venga scelto, per quanto autorevole e di carattere pugnace, dovrà comunque avere a che fare con l’attuale cda, in carica ancora per un annetto a causa della sfasatura temporale tra i due organi della fondazione. Un Cda che in pochi mesi ha “fatto secchi” due presidenti. E che nottetempo con il cadavere (presidenziale) di Palenzona ancora caldo si è spartito il bottino di cariche lasciando esterrefatti persino i più audaci, scavando un solco profondo con tutti gli stakeholder della città. Non propriamente un buon biglietto da visita. Da qui la tentazione che si fa largo anche in Stefano Lo Russo e Alberto Cirio di non mettersi di traverso al commissariamento, senza per questo rinunciare a mettere giù una rosa di candidati da spendere subito (qualora Giorgetti alla fine non ravvisi la necessità di intervenire) o il prossimo anno, quando con il rinnovo del Cda verosimilmente anche l’incarico commissariale potrebbe esaurirsi.

Spazzato via il cda, probabilmente revocate le deliberazioni della sua ultima seduta (le vituperate autonomine), a restare indenne dall’azione commissariale sarebbe il Consiglio di indirizzo appena eletto, al quale è difficile imputare eventuali responsabilità, sebbene dieci consiglieri sedessero già nel CdI precedente. Inoltre, sarebbe oggetto di verifica la possibilità di revisionare lo statuto dell’ente: in questo caso, con l’ausilio del parlamentino, si potrebbe giungere a cancellare il sistema delle terne – che tanti dispiaceri ha dato a sindaco e governatore – e riallineare la durata del mandato dei due organismi, oggi sfasata. Due elementi che oggettivamente, hanno offerto occasioni ghiotte a cordate e giochi di potere all’interno della fondazione, ammantate da nobili ragioni (la difesa dell’autonomia dell’ente dalle ingerenze indebite della politica. Ridicolo). Chissà che venerdì, quando il ministro leghista sarà a Torino per la firma sulla fondazione per l’intelligenza artificiale, Lo Russo e Cirio non trovino il tempo per scambiare (e chiarirsi) le idee con il numero uno del Mef.

Intanto, con i nomi dei potenziali presidenti (in verità finora l’unico credibile è quello della giurista Anna Maria Poggi) iniziano a circolare quelli di possibili commissari. Si fa quello dell’attuale vicerettore della Bocconi, Francesco Perrini, del presidente di sezione del Consiglio di Stato Luigi Carbone, con trascorsi da capo di gabinetto del Mef in precedenti governi, del professor Enrico Laghi, docente alla Sapienza con una sterminata lista di incarichi commissariali e di consulenza (Alitalia, Ilva, Benetton, Caltagirone).

Sarà uno di questi tre a sedersi, nel giro di qualche settimana, sulla poltrona di via XX Settembre? La sensazione che trapela da ambienti vicini al Mef è che ministro e direttore si siano già fatti un’idea piuttosto precisa della situazione. E altrettanto chiara sembra essere l’intenzione da parte di Cirio e Lo Russo di condividere appieno la decisione qualunque essa sia, agendo di conseguenza. Insomma, senza schierarsi né su un fronte né sull’altro. Nel caso in cui non si rendesse necessario il commissario, la coppia istituzionale convergerà non solo sul nome del candidato presidente, ma anche su quello del segretario generale, figura indispensabile per gestire al meglio la macchina e garantire al vertice una conduzione sicura e, possibilmente, tranquilla.