INTERVISTA

"Né con Schlein né con Meloni". Costa vuole (ri)fare Centro

Ripreso il tour dell'ex ministro piemontese assieme a Marattin, i grilli parlanti di Azione e Italia viva. "Non possiamo diventare accessori del Pd, Azione è nata con altri obiettivi". I rischi dello schema Perugia e l'estremo tentativo di sopravvivere al bipolarismo

Sono i liberali dei rispettivi partiti, Enrico Costa di Azione e Luigi Marattin di Italia Viva. I grilli parlanti di Carlo Calenda e Matteo Renzi, quelli che dopo la batosta elettorale sembrano ripetere il loro “l’avevamo detto” ai due leader dimezzati, usciti con le ossa rotte dalle urne, vittime di un narcisismo distruttivo che li ha portati a sbattere. Costa e Marattin tessevano ogni giorno la loro rete, Renzi e Calenda la disfacevano: sono i due volti di una Penelope politica impegnata da anni a tratteggiare i confini di un centro liberaldemocratico e riformatore in grado di resistere alla forza attrattiva del bipolarismo italiano. Ieri sera a Cuneo è ripreso il tour dei due luogotenenti dissidenti. Insomma, Costa e Marattin hanno ripreso a tessere. A fare gli onori di casa il presidente della Provincia Luca Robaldo, nella veste di presidente della lista Piemonte moderato e liberale, la formazione civica promossa dal governatore Alberto Cirio. Tra i presenti anche Mimmo Portas, leader dei Moderati.

Enrico Costa, partiamo dalle note liete e dal risultato in Piemonte. Cosa lascia in eredità la lista Cirio di cui è stato tra gli animatori?
«Azione è il soggetto più consistente di questa forza che a livello regionale è andata oltre il 12% e a Cuneo, in particolare, ha sfiorato il 23».

Premiata la sua scelta di andare col centrodestra?
«In molti casi ho dovuto convincere delle persone nel mio partito, in altri non ci sono riuscito, ma direi che i risultati ci hanno dato ragione, visti anche i voti raggranellati delle liste satellite del Pd».

E ora?
«Ora è proprio dai territori che può nascere un movimento in grado di orientare le leadership nazionali per non abbandonare il progetto di un’area centrista che possa resistere alla forza di attrazione dei due poli».

Ci avete già provato nel 2022 e dopo qualche mese si è sfasciato tutto…
«Allora si fece un capolavoro, convincendo persone abituate per trent’anni a fare una scelta di campo a uscire dal loro perimetro. Sommammo i delusi da questo bipolarismo sempre più estremo e i giovani che quel retaggio politico non lo avevano».

Tutto bellissimo, ma pochi mesi dopo Renzi e Calenda già litigavano.
«Abbiamo fatto l’errore di non coltivare quel capolavoro, anzi lo abbiamo buttato a mare. Ora c’è da ricostruire utilizzando consapevolezza e un pizzico di autocritica».

Di chi è la colpa per quello che è successo?
«Tutti abbiamo sbagliato e io forse sono stato poco incisivo nell’evidenziare quello che vedevo. A un certo punto mi sono anche detto “forse sono io che non capisco, che non sento il polso di chi ci vota”. E invece i nostri elettori volevano e vogliono ancora un soggetto unitario perché in fondo abbiamo contenuti comuni. Ricordo quando io e Marattin andavamo in giro e la gente ci chiedeva “perché non vi mettete insieme?” Poi a Roma trovavamo il gelo. Ecco chi guida la macchina ora deve dire chiaramente qual è l’orizzonte evitando di fare un duplice errore».

Partiamo dal primo.
«No, da una premessa. Azione è nata perché Calenda ha reagito alla scelta del Pd di dare vita al secondo governo Conte. Ed è sulla base di questa rottura e di quel posizionamento che molti hanno iniziato ad affluire, da destra ma anche da sinistra”.

Quindi?
«Quindi, ed ecco l’errore da non commettere: non possiamo tornare indietro e pensare di diventare uno dei tanti satelliti del Pd, il cosiddetto schema Perugia dove il centrosinistra ha vinto con un’alleanza dal M5s a Calenda, appunto. Perché se questa è la prospettiva io non sono d’accordo e certo non sono il solo».

Una minaccia?
«Ma no, sto facendo un ragionamento. Io con Calenda ci parlo sempre e sa come la penso. Piuttosto dall’altra parte vedo che la macchina si è alleggerita dopo aver fatto scendere chi la vedeva diversamente. Spero che ora non tocchi a Luigi (Marattin ndr)».

Secondo errore da non fare?
«Quello di cadere nell’equivoco che siamo tutti all’opposizione di Giorgia Meloni e allora siamo tutti la stessa cosa. Io dico no, la nostra è un’opposizione costruttiva e sui contenuti profondamente diversa».

Ma siete più vicini a Meloni o a Schlein?
“Siamo ugualmente distanti. Sulla giustizia, argomento di cui mi occupo principalmente, le mie posizioni garantiste sono antitetiche a quelle del M5s e di un Pd che gli assomiglia sempre di più».

Che ruolo vorrebbe avere in un eventuale nuovo soggetto?
«Nessuno. Io non faccio tessere e non mi candido a niente. Porto la mia voce, l’idea di un soggetto unitario riformista e liberale che metta insieme tutti quelli che la pensano allo stesso modo».

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