Quel che dice (e non fa) Di Maio

Per quanto i benpensanti possano criticare i cosiddetti populisti, è evidente il motivo principale del loro avanzare: mentre i primi si perdono su progetti utopici o distopici, a seconda dei punti di vista, i populisti si occupano dei problemi concreti della gente. Le soluzioni proposte possono essere giuste o sbagliate, ma comunque in qualche modo cercano di affrontare o per lo meno propongono delle soluzioni ai veri problemi delle persone. All’operaio o all’impiegato che deve arrivare a fine mese interessano poco lo Ius soli, la Cirinnà, le unioni civili e altre amenità simili, ma interessa solamente avere qualche euro in più in busta paga e non dover essere costretto a scortare moglie e figlie alla stazione se malauguratamente partano o arrivano di sera.

Nella gara fra i due vicepremier a chi la spara più grossa, si possono trovare cose interessanti e molte altre deprecabili. Il taglio di pensioni d’oro e vitalizi ci trova favorevoli, come detto in altre occasioni. Ammettiamo che quando Di Maio dice di voler usare i soldi risparmiati sui vitalizi e sulle pensioni d’oro per aumentare quelle minime, politicamente c’è poco da opporre. Chi non è d’accordo? Bisogna specificare che l’onorevole grillino ha specificato che le pensioni d’oro verranno ricalcolate in base ai contributi realmente versati e tagliate di conseguenza. Non si tratta di una semplice manovra che toglie ai ricchi per dare ai poveri, ma una manovra che sana un’ingiustizia, quella, per cui persone che hanno versato poco incassano molto, mentre gli attuali più o meno giovani si trovano a versare contributi esosi in cambio di una ben misera pensioni. Certo i numeri dell’operazione non sono chiari e ci saranno da superare i vari problemi legislativi legati al discorso dei diritti acquisiti, ma è curioso che una manovra che avrebbe potuto e dovuto fare il governo tecnico di Monti, venga fatta da un governo di populisti.

Un proposito interessante è l’abolizione di redditometro e spesometro, interventi a costo zero che permetterebbero di ridurre i costi aziendali in burocrazia.

Poi ci sono le note negative dell’ostinazione per il reddito di cittadinanza, che in realtà pare trattarsi di un sussidio di disoccupazione. Non si capisce come gli uffici di collocamento possano offrire tre occasioni di lavoro ai disoccupati: se fosse così non ci sarebbe bisogno di nessun sussidio perché tutti avrebbero un lavoro. Il contributo dovrebbe essere negato dopo aver rifiutato tre proposte di lavoro, ma nelle province ad alta disoccupazione è difficile che si possano reperire tre occasioni e la domanda da porsi è: allora il contributo diventa a vita? Vista la scarsa utilità degli uffici di collocamento pubblico non sarebbe da pensare l’unica vera riforma possibile: chiuderli?

Altro ritornello riguarda la chiusura delle attività commerciali la domenica con la convinzione che tale apertura non porti guadagni aggiuntivi. Molti hanno l’abitudine di passare il tempo del fine settimana nei centri commerciali e non ci vanno per fare la spesa, ma semplicemente per occupare il tempo libero. Personalmente la trovo un’abitudine non entusiasmante e penso sia meglio una passeggiata in un centro storico o nella natura, ma ognuno è libero di impiegare il proprio tempo come meglio crede. È evidente che la passeggiata al centro commerciale senza l’obiettivo della spesa si trasforma in acquisti, perché è l’occasione che crea l’impulso all’acquisto: si vede in vetrina qualcosa che interessa, ci si ricorda che si è dimenticato di acquistare qualcosa, ecc. Il vice premier ha specificato che i giorni di chiusura devono essere concordati fra associazioni dei commercianti e comune facendo emergere la mentalità dirigista e corporativista del movimento 5 Stelle. Perché deve essere il presidente di un’associazione in accordo con il sindaco o l’assessore a decidere per il singolo commerciante? Perché non lasciare alla libera scelta del commerciante quando aprire e quando chiudere? Per esempio, dato che gli orari di lavoro sono mediamente dalle 9 alle 18, non capisco perché i negozi debbano essere aperti le mattine fra lunedì e venerdì. Non potrebbero rimanere chiusi un paio di mattinate e rimanere aperti la domenica? Giusto per fare un esempio, ma dovrebbe essere il singolo in base alle sue esigenze e a quelle della sua clientela, decidere gli orari di apertura.

Una proposta che lascia molto perplessi è la mezz’ora di Internet gratis per tutti. Intanto non si capisce come attuarla, ma ormai con meno di 10 euro al mese si hanno un bel po’ di giga di Internet sui cellulari e con circa 20 al mese una Adsl flat a casa. Tutta questa necessità di connessione non si capisce da dove possa nascere. Inoltre con mezz’ora al giorno non è che si fanno grandi così: a volte non è neanche sufficiente a compilare i moduli per candidarsi a un qualche posto di lavoro.

Altro provvedimento di dubbia utilità è quello sui lavori temporanei, sia quelli più tradizionali, sia quelli creati dalle nuove imprese web. Non diremo nulla di scandaloso affermando che alcune aziende approfittano di queste tipologie di contratto per pagare meno e non assumere in pianta stabile i lavoratori, ma la soluzione non può essere legislativa. Qui non possiamo non citare Bastiat quando diceva che la condizione dell’operaio migliora quando due imprenditori lo inseguono per assumerlo e non quando due operai inseguono un imprenditore per farsi assumere. È evidente che il proliferare dei contratti a termine è dovuto ad un’economia stagnante in cui esiste una massa di disoccupati disposta a tutto pur di avere uno straccio qualsiasi di lavoro. In una situazione di crescita economica significativa i part time e i contratti più o meno atipici rimarrebbero appannaggio di chi è veramente interessato a tale tipologie. Si pensi alle consegne delle pizze con il motorino che è un’ottima opportunità per ragazzi che studiano, che così guadagnano qualcosa e imparano un po’ come funziona il mondo del lavoro.

Discorso ancora diverso per i lavori della cosiddetta Gig Economy, ovvero il lavoro creati dalle nuove piattaforme online come gli autisti di Uber o i ciclisti di Foodora. In questo caso si tratta di nuovi settori dove tutto è in divenire e una legislazione troppo rigida non farebbe altro che fermare l’innovazione e la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. In questo caso è lo stesso mercato a proporre soluzioni per offrire maggiori tutele al lavoratore. Per esempio una nuova startup belga, è in grado di attivare delle mini-polizze per tutelare i ciclisti che fanno le consegne. Grazie all’accesso all’algoritmo delle consegne si attivano al momento opportuno e sono in grado di calcolare rischi e guadagni. Per un approfondimento si rimanda ad un articolo pubblicato su Il Foglio. Lo sciopero dei lavoratori di Amazon qualche mese fa ha portato ad un accordo fra azienda e dipendenti con dei miglioramenti significativi senza l’intervento dello Stato.

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