REGIME CARIOCA

No alla Tav e abolizione del Ceta: governo "nemico" del Piemonte

Dopo la "revisione" disposta sulla Torino-Lione arriva la decisione di far saltare l'accordo di libero scambio con il Canada. Penalizzata la nostra economia, dall'auto alle produzioni agricole. Mix di decrescita grillina e autarchia salviniana

L’export  italiano verso il Canada è cresciuto, dal settembre dello scorso anno, dell’8%.  E il vino è la voce principale nella classifica dei prodotti esportati nel Paese con il quale è in atto, sia pure in fase provvisoria, l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea.

Quel Ceta che il Governo Lega-Cinquestelle è intenzionato a non ratificare come annunciato da Luigi Di Maio. “Questa maggioranza lo respingerà” ha detto il vicepremier, pochi giorni fa, davanti all’assemblea della Coldiretti, incassando applausi che difficilmente avrebbe suscitato di fronte ad altre associazioni del comparto agricolo – la stragrande maggioranza – che, invece, temono fortissimi contraccolpi da quella che appare l’ennesima declinazione della decrescita felice grillina mescolata al protezionismo autarchico salviniano.

“La bocciatura del Ceta avrebbe contraccolpi pesantissimi sulla nostra economia” dice senza esitazioni Enrico Allasia, presidente regionale di Confagricoltura per il Piemonte, una regione che annovera ben due provincie tra le prima venti per esportazione verso il Canada. E se al terzo posto c’è Torino per il polo del’automobile, all’undicesimo posto troviamo Cuneo a testimonianza del peso del comparto agricolo, con 118 milioni di euro e una crescita del 22,3%.

Di fronte alla risolutezza di Di Maio che è arrivato a minacciare lo spoil sistem (per usare un eufemismo) dei funzionari ministeriali che continuassero a difendere il Ceta, parlano i numeri:  nel 2017 l’export della provincia Granda verso il Canada ha superato i 22 milioni di euro, in crescita rispetto ai 20,8 milioni del 2016 e le esportazioni agricole e agroalimentari rappresentano un valore di circa 53,4 milioni, in decisa crescita rispetto ai 42,2 milioni dell’anno precedente.

Per contro, l’import cuneese dal Canada vale 1,7 milioni di euro. “E’ chiaro come la bilancia commerciale è decisamente a favore del nostro territorio e l’azzeramento dei dazi doganali e il riconoscimento delle denominazioni come garanzia di qualità non potranno che aumentare il nostro export su un mercato importante” osserva Allasia.

Non che le critiche all’accordo mosse già nei mesi scorsi da chi lo contestava siano tutte infondate, “ma non ratificarlo perché comprende e tutela solo 41 prodotti italiani significa privarsi anche di quelle tutele e di quel canale di esportazione”. Per Confagricoltura il Ceta “va migliorato, ma non respinto”. Quest’ultima eventualità, sommata ad altre prospettive delineate dal nuovo Governo, a partire dall’opposizione dei Cinquestelle alla Tav, comporterebbero per il Piemonte, in molti casi più che per altre regioni, una regressione e un mancato sviluppo dai quali sarebbe davvero difficile uscire.

Ma tant’è, la linea tracciata da Di Maio non lascia dubbi, anche se assai meno netta è la posizione del ministro all’Agricoltura, il leghista Gian Marco Centinaio: “Nessuno ha fretta di portare il Ceta in Aula, e quindi vogliamo capire se realmente il Ceta è vantaggioso per il nostro Paese, ad oggi ci sembra di no”.

Probabilmente, vista l’assenza di un termine perentorio per la ratifica, si andrà avanti ancora per un po’ così: con i Cinquestelle a promettere di stracciare l’accordo con il Canada raccogliendo consensi in una parte del mondo agricolo i cui vertici non nascondono sul punto un loro atteggiamento filogovernativo (magari in vista di un impegno diretto in politica, chissà) e il partito di Salvini più cauto e attento a percepire gli umori, soprattutto al Nord, di chi rischia di vedere crollare le esportazioni verso il Canada.

Perché “questi accordi danno la possibilità di esportare i nostri prodotti all’estero ed è chiaro che bisogna farli, soprattutto, con Paesi dove il reddito pro capite è alto è c’è possibilità di spesa” spiega ancora il presidente regionale di Confagricoltura. Il quale guarda soprattutto in prospettiva: “Tutti gli studi dicono che da qui ai prossimi dieci anni o ancor prima, avremo una riduzione dei consumi a livello europeo. Per questo occorre allargare il mercato  farlo con gli accordi, che poi si possono sempre migliorare, ma non certo bocciare”.

Sgombra il campo anche da timori di invasioni incontrollate di prodotti stranieri con il rischio di quelli italiani, come nel caso molto sentito in Piemonte, dei formaggi: “Le produzioni lattiero casearie prodotte e commercializzate in Italia devono indicare l’origine della materia prima, ovvero il latte. Così come per un formaggio fatto in Italia con latte canadese si deve indicare che è fatto con latte prodotto in Canada”.

E a chi obietta che sono pochi i 41 prodotti compresi nell’accordo e tra questi, in numero insufficiente quelli piemontesi, Allasia conviene sulla necessità ai aumentare la lista, “ma avere quei 41 è già un passo avanti rispetto a niente”. Sempreché il Governo non decida di tener fede alla promessa di Di Maio e farlo il passo. Ma all’indietro.

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