Vendesi aria in barattolo

Recentemente i media hanno dato conto di una notizia che purtroppo è passata inosservata, come sovente accade nel nostro Paese. Una curiosa distrazione generale poiché la news toccava argomenti oggetto da qualche giorno di serrati dibattiti e confronti coinvolgenti gran parte della nostra opinione pubblica.

Nei giorni in cui a Roma si discuteva il tema della nazionalizzazione della rete autostradale, altrove è avvenuta quella che potrebbe essere definita una piccola rivoluzione amministrativa. La politica inglese ha infatti imboccato in contromano la strada percorsa sin dagli anni ’80 dagli altri Paesi dell’Europa occidentale, ossia ha deciso di riconsegnare alla gestione statale le proprie ferrovie orientali.

Quella stessa Gran Bretagna privatizzata dall’agguerrita iperliberista Margaret Thatcher, premier che dichiarava la sua simpatia per Pinochet e mandava sul lastrico le famiglie dei minatori anglosassoni, pare abbia deciso di voltare repentinamente pagina.

Secondo il governo londinese la gestione privata del sistema ferroviario ha arricchito esclusivamente le imprese affidatarie, ed ha pesantemente danneggiato i cittadini britannici (soprattutto i lavoratori e i pendolari). In seguito a tale decisione non è quindi possibile fare a meno di riflettere ulteriormente su questo tema, chiedendoci la ragione per cui i ricavi della società Autostrade, ad esempio, non potrebbero rappresentare un importante introito a favore dello Stato: istituzione pubblica obbligata a reinvestire i profitti valorizzando in tal modo la rete autostradale.

Attualmente non è più impresa facile quella di spiegare ai cittadini come si possano cedere a terzi beni che maturano forti profitti, elevati ricavi ora in capo alle aziende ma che potrebbero essere incamerati dal Pubblico con beneficio collettivo, mentre rimangono tenacemente a carico dello Stato solamente quei servizi che non raffigurano una ghiotta occasione speculativa per il mondo imprenditoriale.

Recentemente è stato pubblicato il quadro di sintesi delle concessioni in essere sottoscritte dal governo italiano. Naturalmente non si tratta di rilasci gestionali in capo ad associazioni di volontariato ma di vere e proprie occasioni di business, create ad hoc e prive di qualsiasi contropartita a favore della nazione.

Idrocarburi, servizi a persone, spiagge, cave minerarie, fonti di acqua sono le voci su cui si concentrano le concessioni. A questo elenco si aggiunge, non va dimenticato, il gioco di azzardo statale (Lotto e Gratta e Vinci), consegnato in appalto ad una società privata che beneficia di gran parte dei profitti derivanti dalla vendita dei tanti prodotti da “tentata vincita”. Lo stesso servizio di difesa nazionale, un tempo affidato in via esclusiva all’Esercito, è da tempo privatizzato poiché assegnato dal Ministero competente a vere e proprie società mercenarie ingaggiate per operare nei Paesi dove la tensione è alta.

Un sistema apparentemente basato su regali destinati a pochi imprenditori “amici” nonché a scapito dell’interesse generale. La cartina tornasole del patologico “Modello Italia” giunge dai nostri litorali. Sono migliaia le spiagge concesse a gestori privati, i quali regolarmente allargano la propria area balneare ben oltre i confini assegnati dalla Capitaneria di Porto. Voraci aziende che costringono i vacanzieri a pagamenti di sostanziosi pedaggi per essere autorizzati a godere di un bene comune (quali sono le spiagge stesse) sempre più esclusivo. I costi di una settimana al mare sono divenuti anno dopo anno inaccessibili, costringendo molte famiglie ad indebitarsi per poter usufruire di un modesta porzione (quasi tombale) di sabbia fronte mare.

Le note vicende politiche e di cronaca giudiziaria che periodicamente investono il Municipio di Ostia raffigurano la degna sintesi di una nazione assolutamente incapace di curare e mantenere, con la diligenza del buon padre di famiglia, le proprie risorse ambientali ed economiche.

Nella circoscrizione capitolina le famiglie in odore di criminalità organizzata indirizzano i propri affari sul settore balneare, condizionando addirittura la stessa amministrazione della capitale. Guardando alla situazione delle spiagge risulta decisamente ridicolo il recente uso di cloni, da parte delle forze dell'ordine, per vigilare sulla vendita abusiva di merci ai frequentatori del lungomare: è come arrestare chi tira cartocci con la cerbottana lasciando al contempo indisturbati i possessori di illegali fucili mitragliatori automatici. È di certo apprezzabile la campagna ministeriale di informazione sui diritti dei bagnanti esercitabili in prossimità dei bagnasciuga, ma rimane inaccettabile la selvaggia privatizzazione del mare: fenomeno destinato a non avere più controllo e neppure limiti.

Stessa cosa per piscine, palestre ed ospedali: costi a scapito di quei cittadini trasformati in fruitori di servizi di basso profilo, seppur dai ricavi elevati, a favore dei gestori a cui il Pubblico ha affidato i suoi beni più ghiotti. Il “Sistema Italia” è vicino alla sua nemesi poiché si è spinto oltre i confini del “clientelismo” accettabile all’interno di democrazie occidentali e le conseguenze sono drammaticamente davanti agli occhi di tutti noi.

L’immigrazione continua ad essere additata come il peggiore problema che affligge l’Italia. Un capro espiatorio perfetto e costruito addosso a quella moltitudine umana che approda sulle coste italiche aggrappandosi alla propria disperazione. I migranti giunti in Italia, compresi coloro che vogliono laurearsi in “furberia” presso le nostrane scuole di strada, celano alla perfezione i molti abitanti della penisola italica affamati solamente di denaro e assecondati, nella loro opera predatoria, dalle lascive Istituzioni pubbliche.

In passato si diceva “presto metteranno anche l’aria in barattolo e ce la faranno pagare”. Una battuta ironica ed amara ma non troppo fantasiosa, alla luce di quello che paghiamo già adesso (acqua e mare) per godere di beni comuni. I nostri beni comuni.

print_icon