Solo l'industria può salvare Torino

Non è attrazione ma è fatale. Torino non è attrattiva dice il Rapporto Rota 2020, affermazione di cui eravamo a conoscenza da un po’ di anni, di cui tutti discettano, ma quanti hanno provato a fare proposte anche impopolari e non elettoralistiche per invertire la tendenza? La mancata attrazione significa mancato lavoro. Come uscirne?

Intanto dovremmo superare le nostre contraddizioni; la prima, e una delle principali, avere un tessuto industriale fatto di piccole e micro imprese che non fanno sinergia, che non hanno la forza finanziaria né per investire né per fare ricerca. Infatti circa l’80 per cento delle risorse assegnate in Piemonte a Ricerca e Sviluppo sono assorbite da Fca e Leonardo o comunque nell’auto e nell’aerospazio.

Proprio sul Lingotto, il sentire comune è che la Fiat se ne è andata. E secondo alcuni non era nemmeno un male giacché, si diceva dopo le Olimpiadi del 2006, che l’industria era superata, per cui viva le start-up, viva l’auto-imprenditorialità, abbasso il lavoro manuale e dipendente. Ma, dice il Rapporto Rota “il tessuto delle imprese nel corso del decennio si è progressivamente strutturato, in termini di dimensione le grandi imprese sono cresciute del 3,6%, a fronte di un calo del 10% delle microimprese”.

Citando Rota “nel 2019 hanno registrato tassi di variazione positivi solo i servizi alle persone e alle imprese. I primi (+3%) hanno confermato un trend che è rimasto in crescita per tutto il decennio e che proprio nel 2019 ha raggiunto il suo massimo; anche per i servizi alle imprese il +0,8% del 2019 rappresenta l’incremento maggiore del decennio, segnato tuttavia da un andamento altalenante”. Ma attenzione, la maggiore azienda nel settore dei servizi alle imprese è la francese Synergie che in Italia occupa 3.300 addetti. Con buona pace del ruolo, pubblico, dei centri per l’Impiego che non sono in grado di assolvere al loro compito (basti pensare che a Torino gestiscono meno del 10 per cento del mercato del lavoro).

Allora riepiloghiamo: la politica ha rincorso la micro impresa, l’auto-imprenditorialità, le start-up. La politica e molti sindacalisti, qualche imprenditore si compiaceva nel narrare la fuga di Fiat dalla città, immaginavano una Torino dei servizi, del turismo, della cultura e non capivano che si viaggiava verso il declino. Dopo oltre dieci anni di conversione ai servizi siamo una città decadente, un’area metropolitana in cui il terziario non è nemmeno quello avanzato – informatico, tecnologico – ma quello legato alla cura della persona.

Solo una Torino industriale può realizzare un effetto attrattivo di abitanti, di lavoro, di servizi. Non può essere il contrario. D’altronde la maggior parte delle start-up è nel settore dei servizi e in questo campo siamo dietro a Milano, Roma e Napoli, ovvero le tre più grandi aree metropolitane industriali d’Italia.

Ci si arrovella sul fatto che la maggior parte degli ingegneri vada via dal Piemonte. Certamente una parte è fisiologica ma d’altra parte cosa si fa per trattenerli? Nulla, anzi si demonizza la maggiore filiera industriale torinese: l’automotive. Di chi è la colpa del declino di Torino? Forse gli stessi che ne discutono senza rendersi conto di essere proprio loro parte del problema? Quelli che non sono stati in grado di costruire una nuova classe dirigente?

Invece di pensare a come rilanciare Torino, ci trastulliamo su indagini, come quella di Unioncamere, secondo cui “nel III trimestre 2020 il 35% di queste aziende (quelle intervistate) ha deciso di riportare del tutto o in parte la produzione in Italia o ha in previsione di farlo nel breve periodo”. Peccato che il Rapporto Rota dica esattamente il contrario e cioè che le aziende non hanno trovato problemi logistici, nel mondo globale,  anche durante la pandemia. Dopodiché se fosse vera l’affermazione di Unioncamere e considerato che dicono di avere intervistato 1.802 aziende nel  III trimestre si deve dedurre che oltre 600 aziende sono rientrate o rientreranno con le produzioni in Italia? Con un volume di occupati del 35% di 100.249 addetti? Dove sono? Possibile che non abbiamo cinque nomi di queste aziende? Va bene che il reshoring è di moda ma sarebbe utile quando si parla di questo argomento citare sempre due dati: 1) il fatturato in rientro 2) il numero di occupati.

Sempre il Rapporto Rota ci dice che le multinazionali per installarsi nel nostro paese chiedono quattro condizioni prioritarie: Infrastrutture, Professionalità, Disponibilità degli enti locali, Territorio aperto all’internazionalizzazione. Lo studio ci manda un messaggio chiaro per cui bisogna passare dalle analisi ai fatti altrimenti rischiamo la fine di quel sindacalista che disse: “siamo a un bivio... imbocchiamolo!”.

print_icon