SACRO & PROFANO

Repole sold out con i giovani

Stanno riscuotendo un innegabile successo gli incontri periodici in cattedrale e al Santo Volto. Festeggiato l'ingresso di quattro nuovi seminaristi. L'autoreferenzialità dei liturgisti. La soluzione "creativa" della diocesi di Cuneo: accorpare le parrocchie

Dell’arcivescovo di Torino Roberto Repole molti sottolineano il tratto umano e le sue premure verso i preti, cosa che dovrebbe essere naturale in un vescovo, alla quale però non si era più abituati da tempo. Non ha inoltre cessato di essere presente in varie diocesi d’Italia – recentemente in quella di Napoli – dove i suoi interventi si distinguono, nel marasma generale, per chiarezza e buon senso. Ma anche un altro aspetto va segnalato a suo favore e cioè la ripresa in grande stile della Lectio divina rivolta ai giovani in cattedrale o al Santo Volto e che sta riscuotendo un discreto successo. Lunedì scorso 15 marzo si è svolta la consueta catechesi mensile dell’arcivescovo che ha visto radunati alcune centinaia di giovani e durante la quale si è officiato il rito di ammissione di quattro seminaristi che si prepareranno al sacerdozio. La serata ha reso manifesta l’avvenuta identificazione, se non la sovrapposizione, tra la pastorale giovanile e quella vocazionale e questo per decisione esplicita del nuovo gruppo dirigente. È stato annunciato che dal 29 luglio al 4 agosto prossimi la diocesi proporrà ai giovani e alle giovani il nuovo campo estivo “Chiamati per nome. Perché scegliere e come scegliere”, organizzato dalla pastorale giovanile vocazionale di cui è responsabile suor Carmela Busia.

Tutto apprezzabile e tutto bene dunque, salvo i toni messianici da scoperta dell’America usati dai nuovi responsabili: che la pastorale giovanile debba essere anche vocazionale si diceva e si faceva almeno dal 2018 e che seminario e   pastorale dovessero collaborare pure. Adesso sembra di essere all’anno zero della Chiesa per cui con il nuovo corso… tutto è Grazia! Anche per quei preti che, alle medesime proposte, non rispondevano in quanto troppo accentrate sull’arcivescovo e che adesso invece ne sono entusiasti.

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I liturgisti progressisti sono noti, oltreché per la loro intransigenza e autoreferenzialità, anche per vivere in un mondo incantato tutto loro dove comunicano in un linguaggio comprensibile solo a loro e alla ristrettissima cerchia che li segue sulle loro riviste, tenute in vita artificiosamente e lette da un ancor più ristretto novero di addetti ai lavori. Uno di questi è don Marco Gallo, prete fossanese e sperimentatore liturgico che sull’ultimo numero del settimanale diocesano torinese ha ricordato, anche se con un po’ di ritardo, il sessantesimo anniversario della Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Ci associamo alla celebrazione di uno dei documenti cardine del Concilio ma, onestamente, non si capisce cosa ci sia da festeggiare. Esso fu il primo documento approvato da Concilio quasi all’unanimità (anche monsignor Marcel Lefebvre diede il placet) in quanto non solo recepiva i vota dei vescovi per una riforma nella continuità, ma perché era l’approdo delle migliori istanze del movimento liturgico. Sarà la riforma affidata alla Commissione ad exsequendam a stravolgere tutto andando al di là di quel Messale del 1965 che ben rappresentava la mens dei Padri conciliari.

Presieduta nominalmente dal cardinale Giacomo Lercaro (1891-1976), «generoso» ma «incapace di resistere alle manovre dello scellerato e mellifluo» monsignor Annibale Bugnini (1912-1982), segretario e factotum del medesimo organismo, «provvisto di cultura come di disonestà», secondo quanto scritto da padre Louis Bouyer(1913-2004) teologo e liturgista. La moderatezza e l’equilibrio di Sacrosanctum Concilium fu abilmente usata da Bugnini – lo scrisse lui stesso – per introdurre tutta una seri di modifiche che i Padri non avrebbero mai approvato e che bocciarono nel Sinodo del 1967 ma che egli tuttavia riuscì a far passare. Si pensi – è sempre padre Bouyer che lo scrive – come Bugnini gli affidò una sera la stesura della preghiera eucaristica II dalla quale, al pari del Suscipiat voleva espungere anche il Sanctus, per poter portare la nuova formulazione al papa il mattino dopo. Così Bouyer e il liturgista benedettino Bernard Botte (1893-1980) scrissero il nuovo testo di quel canone, che ormai viene sempre letto ad ogni Messa, sulla tovaglia di un ristorante di Trastevere. Ma come lavorava la pletorica Commissione? Sostanzialmente nella confusione manovrata e manipolata da Bugnini che a Paolo VI diceva una cosa e ai suoi membri un’altra. Di questo se ne rese conto – ma troppo tardi – lo stesso papa che lo estromise di punto in bianco mandandolo nunzio in Iran. Il padre Ferdinando Antonelli (1896-1993), liturgista di antica data, autore della riforma della settimana santa sotto Pio XII e membro della Commissione, poi creato cardinale da Paolo VI al posto di Bugnini, così scriveva di quel periodo sul suo diario: «Confusione: nessuno ha più il senso del sacro e vincolante della legge liturgica. I cambiamenti continui, imprecisi e qualche volta illogici, e il deprecabile sistema degli esperimenti, hanno rotto le dighe e tutti, più o meno, agiscono arbitrariamente…». I misfatti e le vere e proprie profanazioni che la nostra rubrica Traditores Custodes documenta quasi settimanalmente sono figli diretti non certo di Sacrosanctum Concilium ma della riforma che ha fatto del vel vel la sua parola d’ordine. Pur essendo giovane don Gallo non traccia alcun bilancio critico della riforma liturgica: essa è stata per lui una unica e continua marcia trionfale.

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Proprio dalla diocesi di don Gallo – Cuneo Fossano – il vescovo monsignor Piero Delbosco, noto per essere da sempre un pragmatico, sta operando per il meglio come provetto curatore fallimentare. Poiché fra dieci anni i preti con meno di 75 anni saranno solo 40 (mentre oggi sono 62) è inutile impegnarsi sulle vocazioni ma usare la solita «creatività» e il nominalismo trasformando le 115 parrocchie in «115 comunità radunandole poi in nuove parrocchie».  Insomma, si procederà a drastici accorpamenti, una strada che non ha nulla di originale o di creativo ma che è stata percorsa più di vent’anni fa in Francia con i risultati che tutti conoscono: prima la resa e poi la scomparsa di ogni presenza cristiana. Si dirà: ma cosa dovremmo fare, non possiamo mica inventarci le vocazioni? Certo, per intanto però si potrebbe tentare di uscire dalla logica funzionalista che da anni infesta la Chiesa riducendola a una agenzia di senso quando va bene o di agenzia di servizi come spesso accade e ricordarne invece la natura soprannaturale, una dimensione che oggi – come la fede in Dio – si dà per scontata.

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Ha fatto notizia il più giovane vescovo degli Usa, monsignor Earl Kenneth Mario Fernandes, classe 1972 il quale, arrivato nel 2022 a Columbus in Ohio (non quindi qualche sperduta plaga africana) dove da anni non si ordinava nessuno ha invertito la rotta e mentre l’altr’anno si ebbero ben 16 nuovi ingressi in seminario, quest’anno ne sono in arrivo altri 12. Come il presule ha detto a Vatican News sono i frutti della preghiera incessante, dell’adorazione e del digiuno, ma anche dall’aver presentato il sacerdozio nella sua essenzialità: salvare anime e non correre dietro alle varie “agende” di questo mondo. Che è poi la missione della Chiesa, quella per la quale è stata voluta dal suo Divin Fondatore ed è quello che la gente domanda e non trova più, sostituita spesso dal moralismo e dal conformismo più vieto.

Un esempio? Qualcuno sa cosa sia il Comece e a cosa serva? Si tratta della Commissione degli episcopati europei presso l’Unione Europea, composta da 25 vescovi e attualmente presieduta dal vescovo di Latina ed ex segretario della Cei, monsignor Mariano Crociata. Il 13 maggio il Comece ha emesso un documento in vista delle prossime elezioni europee che è un concentrato di luoghi comuni e dove non emerge nessun problema serio che possa sollecitare la riflessione del cristiano: la difesa della vita, i rapporti della politica con la morale, la vera natura della democrazia, un bilancio critico sullo stato della Ue, i fondamenti dello stare insieme. Soprattutto nessun accenno a Dio, a Cristo e alle radici cristiane. In compenso, troviamo vaste concessioni al pensiero unico dominante: il bene comune appiattito sull’ecologia, le azioni per il clima, il lamento – senza analizzarne le cause – sulla diserzione delle urne. Insomma, un testo asettico e timido, assolutamente scontato e che poteva essere scritto da 25 euroburocrati e non da 25 vescovi. E questo mentre il presidente Emmanuel Macron ha già fatto sapere di voler inserire – come avvenuto in Francia – il diritto di aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il documento dei vescovi si limita a parole generiche in quanto è noto a tutti come il rispetto della persona umana sia ormai un concetto polivalente ispirato alla democrazia relativista e al soggettivismo narcisista dei «nuovi diritti».

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