GRANA PADANA

Salvini arroccato sul sovranismo, Lega divisa pure sul programma

Le due anime, quella "nera" e quella nordista, emergono anche nel pool voluto dal leader per definire le proposte elettorali alle europee. I falchi salviniani Bagnai e Fontana a confronto con l'area moderata di Fedriga e Molinari. Dopo il voto la resa dei conti

Un po’ pensatoio, un po’ sfogatoio. Nella Lega che Matteo Salvini continua a spostare sempre più a destra e sempre più contro Giorgia Meloni, col provvidenziale aiuto arrivato (su richiesta?) da Marine Le Pen, il pool di lavoro costituito al fine di predisporre il programma per le europee non poteva non riflettere, ancora una volta le due e più anime del partito. Un’incipriata alla supercazzola, per dirla con chi ha fatto notte aspettando la conclusione del recentissimo consiglio federale di giovedì scorso, ma anche il tentativo da parte del segretario di attutire contrasti e spinte opposte in una camera di compensazione con, appunto, lo scopo formale di tracciare quelle linee per la complicata partita europea che, peraltro, egli ha già ben chiare in testa.

Con questi presupposti, poi confermati, ieri il pool si è riunito sia pure in teleconferenza e, come previsto, le questioni e i temi con cui presentarsi agli elettori hanno offerto la matita per disegnare ancora una volta un partito dove c’è chi sposa e sostiene senza se e senza ma l’ulteriore spinta destrorsa, sovranista e nazionalista impressa dal leader e chi, non senza ragioni, teme che questa costerà cara nelle urne.

Falchi pretoriani del segretario, come Alberto Bagnai e Armando Siri, gli europarlamentari Marco Zanni e Marco Campomenosi e, idealmente dall’altra parte se non colombe certamente una specie che rivendica la sua autoctonia nordista che fa rima con quell’autonomia a loro vedere sempre più marginalizzata. Il governatore del Friuli Venezia-Giulia Massimiliano Fedriga, con i piedi ben piantati nella sua terra per resistere alle profferte salviniane di una candidatura in Europa, unito in identico destino al Doge Luca Zaia il cui gran rifiuto al Capo ormai è più famoso di quello di Celestino V. E non certo per dantesca viltade, semmai per acuto ragionamento politico e autopreservazione dall’incombente promoveatur ut amoveatur che, non senza motivi, teme entrambi come possibili suoi successori nel caso in cui la débâcle europea provocasse un terremoto nel partito.

La teleconferenza nei propositi di Salvini avrebbe dovuto vedere la partecipazione anche di Giancarlo Giorgetti, ma il concomitante consiglio dei ministri ha offerto il destro per l’assenza a don Abbondio he alla kermesse “nera” di sabato scorso ha vestito gli stretti panni di Don Rodrigo contro il matrimonio con Ursula von der Leyen. C’erano, sempre sul fronte da cui provengono pur misuratissime critiche alla linea del leader e inviti a cambiamenti ineludibili per il futuro del partito, i due capigruppo in Parlamento, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari. Da loro e da quest’ultimo in particolare il richiamo a inserire nel programma per le europee elementi di concretezza, di pragmatismo, quei temi insomma che non riusciranno certo a riportare la Lega ai fasti del 2019 quando superò il 34%, ma potrebbero evitare il tracollo. Puntare tutto su un messaggio esclusivamente e marcatamente politico, come traspare da salviniani duri e puri rappresentati nel pool anche dal presidente della Camera Lorenzo Fontana, riserverà allo spoglio delle schede un amaro esito, che non potrà essere una sorpresa. L’autonomia, declinata in ambito dell’Unione, resta il fulcro dell’azione di chi sa quanto averla vista trascurare nel Nord abbia pesato e pesi in termini di consensi. 

Ne sanno qualcosa gli amministratori locali, presenti nel gruppo di lavoro con il sindaco di Novara Alessandro Canelli, un altro di quelli cui si scalda il cuore parlando di federalismo e si gela la schiena all’idea di affidarsi mani e piedi a quell’internazionale nera protesa a superare a destra Fratelli d’Italia e a mettere nel mirino la Meloni troppo amica di Ursula. 

In più, sta prendendo sempre più consistenza in Forza Italia quella componente ormai nota come Forza Nord. Lì, ex leghisti, come Flavio Tosi, l’europarlamentare Stefania Zambelli, il bossiano Marco Reguzzoni, l’ex governatore del Piemonte Roberto Cota e altri, con ulteriori arrivi previsti, rappresentano un’alternativa a chi è legato ai fondamentali identitari della Lega, ma ha più di una remora e una difficoltà a votare un partito come quello che Salvini sta ulteriormente spostando a destra. Allontanandolo dal Nord e da quei temi che, ancora ieri, una fetta importante del partito ha cercato di riportare nell’agenda europea. Sempre che poi sia quella che seguirà Salvini.

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