Stati armati d'Europa

L’Europa cambia pelle, trasformandosi velocemente da un insieme di nazioni che cercano di non ripetere gli errori che hanno condotto verso la Prima e, poi, la Seconda guerra mondiale, ad una coalizione militare pronta all’olocausto post-nucleare. Una mutazione drammatica che non tiene conto di quanto stabiliscono molte Costituzioni degli Stati appartenenti alla UE, tra cui quella italiana che all’articolo 11 recita: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Le cause di questa improvvisa simpatia bellicista sembrano generate in parte dalla potente influenza che le lobby dell’industria militare, i cui profitti hanno raggiunto cifre record, esercitano sulla politica, e in parte dall’incapacità dei governi di gestire i conflitti tramite l’azione diplomatica (la  mediazione non è favorevole ai grandi speculatori finanziari). 

Le istituzioni del Vecchio Continente si voltano dall’altra parte di fronte alla tragedia umanitaria in atto a Gaza, dove 32.000 civili sono morti in seguito all’azione militare sionista (tra le vittime si contano molti bambini), mentre si rivolgono pubblicamente al leader del Cremlino facendo largo uso di insulti e auspicando la vittoria ucraina “a qualsiasi costo” (scordando costantemente che il nemico da “abbattere” ha l’arsenale nucleare più potente del pianeta). Si è voluto raggiungere il punto di non ritorno alimentando nei popoli arabi un forte senso d’odio nei confronti dell’Europa e, al contempo, rendendo impossibile l’avvio di negoziati sul fronte russo con coloro che i leader europei hanno ripetutamente paragonato ai nazisti, definendoli inoltre “macellai” e “criminali di guerra”.

Alcuni sviluppi recenti, maturati nella settimana di Pasqua, fanno presagire la volontà di Bruxelles di compiere un ulteriore passo avanti nella direzione di un confronto armato in cui l’Europa stessa diventi il campo di battaglia. Un quadro rafforzato da alcune ipotesi sul tavolo dei governanti, che vanno dall’allargamento del servizio di leva, alla creazione di battaglioni da inquadrare in una sorta di nuova legione straniera. 

Ad Est, è Kiev a diffondere tra i cittadini dell’Occidente calorosi inviti ad arruolarsi nel proprio esercito. È ben accetto chiunque, tra i 18 e 60 anni, sia in buona salute e sappia usare un’arma: chi sarà ritenuto idoneo riceverà una paga che va dai 3.000 ai 6.000 dollari (chi finanzi l’iniziativa è chiaro). L’obiettivo è quello di rimpolpare in tempi rapidi i reparti ucraini tramite 20.000 soldati destinati a compensare i 650.000 disertori che hanno preferito fuggire all’estero, spesso morendo nel tentativo di farlo, anziché rispondere alla chiamata alle armi.

Il nostro Paese si muove su due direttive. La prima è quella di creare una sorta di Legione Straniera italica, formata da giovani immigrati a cui promettere l’acquisizione della cittadinanza italiana nel caso indossino la divisa del nostro Esercito (per un periodo di almeno due anni) e siano disponibili a puntare il fucile contro i “nemici dell’Occidente”: un metodo già adottato dall’Impero romano nell’ultima sua fase di espansione (quella a cui è seguita la sua fine).

L’altra, invece, è frutto della fantasia di un deputato del partito di Renzi, il quale propone al Parlamento una legge diretta a contrastare la “propaganda del Cremlino in Italia” grazie allo stretto controllo da esercitare sui siti, sui social e le chat. Moderna caccia alle streghe, da cui prende corpo la censura e il divieto di poter esporre pubblicamente tesi non allineate a quelle governative: un salto indietro della nostra società di quasi cento anni.

Una politica estera che sembra dettata direttamente da una Fondazione Leonardo (i cui dirigenti arrivano sia dai vertici del Centrosinistra che da quelli del Centrodestra) lanciata oramai a pieno ritmo sul mercato bellico, e pronta a partorire nuove armi grazie a promettenti collaborazioni con le Università italiane. Collaborazione “scientifica” che ha scatenato la reazione avversa del mondo accademico e di tantissimi studenti, i quali hanno dato vita a sit-in e altre forme di protesta. L’Università, è bene rammentarlo, è lugo di formazione culturale e di confronto dialettico con i popoli di tutto il mondo: non può trasformarsi in un’industria d’armi, specie in un Paese la cui Costituzione ripudia la guerra. 

Sarebbe ora, seguendo i temi della protesta degli studenti in lotta contro la fabbricazione delle armi, di chiedersi in quale Europa si voglia costruire il futuro delle prossime generazioni: l’Europa della Pace tra i popoli, oppure quella che stringe la baionetta tra i denti. 

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