Quei cinque che hanno fatto la Cisl

Leggere il libro di Raffaele Morese “Quei cinque di via Po 21”, edito da Edizioni Lavoro, mi ha portato alla mente un altro libro: la banda o i ragazzi di via Panisperna. I sette scienziati uniti dalla passione del loro mestiere diventano i cinque sindacalisti che danno vita alla Cisl e poi la fanno crescere. Giulio Pastore la balia, Bruno Storti e Luigi Macario impegnati nell’equilibrare le varie anime cisline, Pierre Carniti che la porta nell’età adulta e Franco Marini, il normalizzatore. Cosa unisce le due esperienze? La passione per il loro mestiere, due passioni dedicate agli altri, due altruismi.

La narrativa di Morese suscita ricordi, emozioni, odori che coincidono con l’inizio della mia esperienza sindacale, diciannovenne estremista di sinistra che frequentava la parrocchia di San Giulio d’Orta, appena entrato in Fiat Avio nel 1979 con segretario generale della Cisl, Pierre Carniti. La pasta per lavarsi le mani dopo un turno di lavoro con una vischiosità che non andava mai via, il sapore del cibo precotto entrando in mensa che era uguale a quello dell’ospedale, l’odore dell’olio lubrificante del tornio ma soprattutto la libertà. Tanta liberta e bellezza cerebrale di passare ore a discutere nelle sedi sindacali, in birreria, nei pranzi in trattoria, nell’infinito accompagnarsi e riaccompagnarsi a casa finita una riunione.

Carniti, soprattutto, era molto conosciuto fuori dall’ambito sindacale e in quegli anni la Cisl era il sindacato più aperto, infatti tutta la sinistra extraparlamentare stava in Cisl, almeno sino al 1984. Quindi scelsi la Cisl perché era “il luogo” dove potevi esprimere la tua opinione e confrontarti. Tra i cinque, Carniti ti appassionava al sindacato, non per nulla quando dopo gli otto giorni di prova che diventarono nove, a causa di uno sciopero generale dei metalmeccanici per il rinnovo del Contratto Nazionale, chiesi al mio delegato di reparto di iscrivermi alla Cisl. Lui, stupito, mi chiese perché: allora, infatti, c’era la Flm – Federazione unitaria di tutti i lavoratori metalmeccanici – e ci si iscriveva a quella, non a una confederazione.

I contradditori storici sui testi di Morese e la loro analisi mi appassionano marginalmente anche perché basta leggersi l’introduzione di Bruno Manghi che in mezza pagina sintetizza l’umore del libro, i valori delle persone e ti spinge a voltare pagina e a iniziare la lettura. Sono le sensazioni che suscita il libro ad appassionare alla lettura a partire dal biennio 1979-80 con il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, Solidarnosc e le lotte dei cantieri navali di Danzica e Stettino, i 35 giorni alla Fiat e il tragico terremoto in Irpinia. E anche l’Inter che vince lo scudetto. Il sindacato, la Cisl, era protagonista indiscusso e riconosciuto della vita sociale e politica del Paese anche perché alla sua testa c’era un leader vero. “Formidabili quegli anni” come ebbe a scrivere Mario Capanna.

Cosa ci hanno insegnato “quei cinque”? La sobrietà nei comportamenti, la fatica della gavetta, non conoscevano la saccenteria, non conoscevano l’autoreferenzialità che oggi “ha pervaso la mentalità anche di alcuni sindacalisti”, la consapevolezza dei propri limiti che diventa una risorsa, una forza e “li induceva a circondarsi di intellettuali non ossequiosi, senza porsi il problema che appartenessero a culture diverse”.

“Quei cinque”, in modo diverso, hanno costruito una Cisl pluralista invogliando i cislini a discutere. I loro discorsi non chiudevano un dibattito, una riunione. Tutto il contrario, quando facevano le conclusioni era da quel momento che i delegati continuavano a discutere in fabbrica, nelle sedi sindacali, oggi diventate sedi dei servizi. Erano stimolatori di idee perché Pastore, insieme a Romani, ha gettato le basi per il balzo di capacità propositiva e innovativa che ha fatto la Cisl con Carniti. Le brigate rosse hanno dovuto assassinare Tarantelli e poi D’Antona perché il disegno e la visione cislina, insieme ad altri corpi sociali, ai Lama, Benvenuto e Trentin, quelle idee potevano sconfiggere il terrorismo. E infatti fu così.

Tornando ai cinque di via Po, sebbene in modo diverso, hanno valorizzato il bisogno del confronto all’interno della Cisl, coscienti che quella era la ricchezza di cui disponevano per fare crescere la Cisl stessa e rinnovare continuamente un gruppo dirigente autorevole e che si facesse le ossa nei luoghi di lavoro, più che nelle sedi sindacali.

Per questo il titolo del primo capitolo è sempreverde, un lascito per l’esperienza odierna, sicuramente utile: “la leadership si forma, non la si inventa”. Da metalmeccanico posso dire che il leader si “forgia” e ha autorevolezza se la sua esperienza sindacale è concreta, con capacità critica e costruttiva. Un segretario che non abbia mai dissentito, cioè un yesmen, non potrà mai avere una leadership perché gli manca l’altra faccia della luna: sapere costruire una sua opinione e portarla avanti dentro l’Organizzazione Sindacale e quindi costruire una sua personalità, dimostrare di avere un’opinione, una visione, un pensiero. Se manca tutto ciò sarai un capo ma non un leader, come ci dice Morese.

Quando l’autore mette insieme ideali e interessi, dove non basta rappresentare l’identità ma serve avere una visione del futuro, è in questa esaustiva sintesi che la leadership si forma. Serve ancora un passaggio sparso dentro le parole di Morese riferite al leader quando ricorda la capacità di prendere decisioni, anche in solitaria, dopo avere ascoltato tutti, non solo gli yesmen. Anzi, nella mia esperienza quando dovevo prendere una decisione pensavo spesso a chi era più lontano dal mio pensiero o era più critico per avere una maggiore capacità di analisi e visione per fare la scelta giusta.

Soprattutto i cinque di via Po hanno sempre esercitato la leadership con un grande rispetto delle regole democratiche dell’Organizzazione, del loro buon funzionamento, il “rispetto della dialettica, anche quella più accesa, perché poi la sintesi fosse la più partecipata e condivisa … raro ricorso alla repressione del dissenso come metodo per rafforzare la propria autorevolezza”.

La storia personale e sindacale dei cinque di via Po appassiona ma da pagina 3 alla 9 è racchiusa una memoria storica e comportamentale, un vero manuale che ogni sindacalista cislino deve studiare a memoria e poi applicare.

Quei cinque ma in conclusione direi: “Quei sei di via Po 21” perché l’autore, Raffaele Morese, che è stato protagonista di tanta parte della storia che narra non si può escluderlo dalla storia scritta dalla Cisl, anche se non è stato un Segretario generale ma  “solo” un aggiunto.

Allora cosa ci lasciano “questi sei di via Po 21”? Intanto che sono attuali nell’insegnamento di cosa è un sindacalista Cisl con alcuni valori imprescindibili: etica, rettitudine morale, badare all’essere e non all’apparire e il fatto che l’agire sindacale del cislino è un tutt’uno con la persona che sei. 

Ci lasciano l’importanza della dialettica, tocca ai vertici sindacali mantenere viva e libera la discussione interna alla Cisl, tocca poi al leader indirizzarla, tocca a ogni vertice sindacale nel suo ruolo territoriale o nazionale promuoverla perché da lì nascono idee e un gruppo dirigente che consentiranno alla Cisl di evolversi sempre.

Non è un libro sulla storia della Cisl che serve a motivare o giustificare le scelte odierne ma è il vissuto della Cisl che invita a riflettere ogni militante, attivista, dirigente per poi agire ognuno come si sente ispirato. E’ un libro che invita all’azione dei singoli rafforzando valori, motivazioni, principi etici dentro una grande Organizzazione sindacale come è la Cisl.

Quando avrete finito di leggere il libro di Morese rimarrete con la sensazione di avere qualcosa in più da dare, di aver imparato qualcosa di nuovo anche se non nuovo, rinfrescato parametri valoriali ora un po' decaduti ma rilanciabili, rinnovato la memoria storica. Buona lettura.

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