POLITICA & GIUSTIZIA

Politici agli inferi della giustizia: "Vite a rotoli e scaricati dai partiti"

Le "Storie dall'inferno" di Esposito e Lotti: il primo attende ancora il processo, il secondo assolto. E i primi a violare la legge sono i magistrati che indagano. "Nessuno del Pd che mi abbia chiamato per farsi spiegare le cose di cui ero accusato"

“La cosa che mi ha fatto più male? È che non ce n’è stato uno (del Pd) che mi abbia chiamato per farsi spiegare le cose di cui ero accusato. Il segnale più chiaro, la dimostrazione che non frega niente. Sono problemi tuoi e non ci interessa neanche sapere”. Passano gli anni ma non passa la rabbia, almeno all'ex parlamentare dem Stefano Esposito. Il dialogo tra lui e Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Matteo Renzi e poi ministro dello Sport, ha il titolo significativo di “Storie dall’inferno. Giustizia tra garantismo e giustizialismo”. Entrambi travolti dalle indagini, in un calvario durato anni che se per Lotti si è concluso con l’assoluzione, nel caso di Esposito ha ancora un finale aperto.

Invitano sul palco Simone Uggetti, sindaco di Lodi, inquisito sette anni per un appalto da 5.000 euro, oggi definitivamente assolto. Parla di “sistema malato” da Tangentopoli in poi, del “supplizio aggiuntivo” che gli è costato la campagna stampa contro. “Quando una procura, un partito e un giornale vogliono distruggere una persona, possono farlo. È ora di cambiare pagina”. Per Esposito è molto peggio, basta il giudice inquirente: “Un pm oggi può distruggere una persona senza l’onere della prova”. “Beh, ma poi vai in aula”, gli ribatte il moderatore, il giornalista Paolo Griseri. “Quando vai in aula a volte sei già morto”, risponde Esposito, che non nasconde le cicatrici. Nella vicenda che l’ha visto suo malgrado protagonista “la violazione di legge è stata accertata in capo a chi mi accusa, è un dato per tabula”, spiega Esposito ripercorrendo le tappe della cosiddetta “Bigliettopoli”, in cui compare fra gli imputati, e chiama in causa, senza nominarlo, il pubblico ministero Gianfranco Colace, che ha condotto le indagini. L’ex senatore ha fatto riferimento alla sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le intercettazioni telefoniche che lo riguardano sottolineando che il comunicato della Consulta precisava che erano “univocamente preordinate ad accedere alla sfera di comunicazione del parlamentare” ed erano state effettuate “senza aver mai richiesto alcuna autorizzazione al Senato della Repubblica”. “Non ho sentimenti di vendetta. Ma qui ho contato almeno cinque persone passate dallo stesso pm. Vorrei che la mia esperienza non capitasse a qualcun altro”. Esposito ha precisato che la pronuncia della Corte Costituzionale “non mi ha assolto” e che “purtroppo devo ancora rincorrere il processo. La verità è che in questi dieci anni non sono stato io ad avere frapposto ostacoli allo svolgimento regolare del procedimento. E non mi sono potuto difendere nel merito. Per me è peggio dell’inferno”.

Lotti, che ha 41 anni, una quindicina in meno di Esposito, è ripartito dal mondo del calcio come consulente dell’Empoli. Oggi sorride, ma se ripensa agli anni del renzismo gli viene l’amaro in bocca: “L’errore è quando usi l’intoppo giudiziario del tuo compagno di partito per farlo fuori”. E tutto viene dal fatto che “abbiamo perso il senso della comunità, che era eredità del Pci e della Dc”. Era salito molto in alto da giovanissimo, poi l’accusa di favoreggiamento e rivelazione di segreto gli fece crollare il mondo addosso. La campagna di stampa ha travisato la stessa indagine, racconta Lotti, perché una cosa è “dire che sono indagato per Consip”, un’altra è dire “che sono al centro di un sistema di favori per aiutare il babbo del presidente del Consiglio. E non era scritto nelle carte”. Ma è più sereno di Esposito, dice addirittura che per un politico è giusto che ci sia più rigore da parte della magistratura rispetto a un normale cittadino. Esposito ha avuto una crisi di rigetto: “La politica mi fa venire l’urticaria”, dice, poi col moderatore prende in giro Lotti che forse si farebbe un altro giro: “Questo lo dite voi”, si schermisce l’empolese.

Esposito saluta dal palco il presidente del Consiglio piemontese Stefano Allasia. “Le istituzioni prima di tutto”. I due si sono conosciuti a Torino ma anche in Parlamento. Tanti politici, soprattutto piddini: c’è l'ex assessore a Torino Enzo Lavolta, con cui Esposito ha condiviso una parte della vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto, la capogruppo in Sala Rossa Nadia Conticelli, la presidente di Amiat Paola Bragantini, il vicepresidente del Consiglio piemontese Daniele Valle, il presidente della holding del Comune Fct Luca Cassiani. Uscendo dal Pd c’è Carlo Giacometto ex deputato di Forza Italia, il leader dei Moderati Mimmo Portas, Pierlucio Firrao di Torino Bellissima accompagnato dall’ex renziano Davide Ricca, ora alla corte dell’imprenditore acqua&vino Paolo Damilano. In sala anche l’ex consigliere regionale del Pdl Roberto Tentoni, condannato per la Rimborsopoli, l’ex portavoce di Chiara Appendino Luca Pasquaretta. Esposito allarga il discorso anche alle vicende di Appendino perché “non vedo grandi differenze negli altri partiti”. Presente pure Roberto Rosso, condannato in appello per voto di scambio politico-mafioso. Andrà anche alla cena da Pollastrini dove Esposito, Lotti e gli altri hanno avuto modo di continuare a confrontarsi anche scesi dal palco. La condanna non gli ha tolto la voglia di scherzare, così si è presentato a Uggetti con una battuta: “Piacere sono Roberto Rosso”. “Di Forza Italia?”. “No, della ’ndrangheta”.

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