Chiarezza e riforme a Torino

Occorre affermare l’autonomia politica dell’area liberaldemocratica, una proposta che in Italia è rappresentata da Scelta Civica e in Europa esprime sette primi ministri. Una linea da seguire anche alle prossime amministrative

Come in altre occasioni, la formazione delle liste per le elezioni comunali a Torino registra il tentativo di coinvolgere la Torino operosa, borghese, cittadina. È uno sforzo che il Pd compie da anni: la giunta Castellani ne fu un esempio, fino alle più recenti  le liste Monviso 1 per Chiamparino e Monviso 2 per Fassino.  Analogo coinvolgimento si trova sul fronte opposto: prima dell’attuale deserto, il centrodestra si è a lungo appellato agli esponenti dell’impresa, della libera iniziativa e delle professioni. Per anni liberali e liberaldemocratici sono stati quindi coinvolti in posizioni politiche divergenti: sui temi internazionali,  in politica economica e sullo sviluppo, sulle politiche pubbliche in generale, dalla giustizia all’ambiente. Da liberaldemocratici hanno spesso storto il naso alle sparate più grosse, finendo spesso per essere marginalizzati all’interno dei due schieramenti, inviati a gestire qualche asset pubblico, oppure ridotti a gregari, o incoraggiati a tornare all’impresa o alla professione d’origine.
 
Per l’area liberaldemocratica, lo scenario della formazione delle liste per le elezioni comunali a Torino rispecchia ancora questo quadro di fondo. Un tentativo moderato e civico di costruire una proposta a centrodestra viene ostacolato sia dalle pulsioni destra-destra (dalle rivolte nelle periferie alla difesa delle corporazioni) sia dal sostanziale fastidio proprio per quel mondo civico e appunto liberale. A sinistra l’offerta prende le mosse dal ricordo di un’alleanza tra la città borghese e la sinistra: persa la strategia, oggi si interpreta  come  semplice accompagnamento, un collateralismo da Monviso 2 con la foto di Fassino sulla Stampa.
 
In questo modo anche i contenuti sono confusi, e si perde la visione della città, delle cose da fare. Si allontana il senso  di quanto avviene nel Paese.  Per questo vale la pena di fissare e ricordare qualche paletto comune che definisce il perimetro politico dell’area liberaldemocratica: Europa, occidente e atlantismo, democrazia rappresentativa, trasparente e solida, mercato aperto e concorrenza, società aperta e libertà individuali, rispetto della persona e dei diritti, governo normale, cioè buongoverno. Leggiamola al contrario: non ci sono liberaldemocratici che scrivono per i giornali online di Putin, che simpatizzano per il salto nel buio di un populismo a cinque stelle, per la società economicamente chiusa della Lega 2.0, per il “sistema Torino” bloccato, per gli ostacoli alla concorrenza a sinistra, per il costo e l’impatto, anche ambientale, dell’elefantismo antimoderno delle partecipate pubbliche.
In tempi rapidi, questo dovere di chiarezza attraverserà le parole e le persone, e dovrà ridare compattezza all’area liberaldemocratica, e quindi nuova forza politica. Ricorderà l’obbligo di  sostenere le riforme in corso promosse dal governo nazionale, per quanto incerte siano, ma che intervengono proprio su modernizzazione e apertura. 
 
Il primato risiede oggi nelle riforme, non nelle formule o nelle persone. Per questo, oltre alla definizione del perimetro politico, occorre affermarne l’autonomia politica dell’area liberaldemocratica. E’ uno sforzo in corso, nato da tempo, che ha attraversato faticosamente l’esperienza di Alleanza per Torino e di Alleanza per la città, quella dei Moderati, e quella di Scelta Civica, che proprio sul principio dell’autonomia si è ricostruita intorno a Enrico Zanetti.  E’ uno sforzo da consolidare, questa volta per costruire in prospettiva un’area liberaldemocratica in Italia. La stessa area che oggi, in Europa, esprime sette primi ministri.
 
Nella congiuntura elettorale torinese, il principio dell’autonomia politica e di promozione dei propri contenuti va perseguito tenendo conto delle macerie e della confusione, e quindi riconoscendo l’esaurimento dei tentativi di affiancamento o di collateralismo al PD così come l’esercizio di dare una guida moderata a rivoltosi anti-euro e anti-riforme. E’ un’autonomia che deve essere di buonsenso, capace di fermezza ma anche di interpretare la modernità dell’economia circolare dei  5 Stelle, il valore delle piccole democrazie cantonali di qualche animo leghista, come la difesa del contribuente e quella dei diritti civili, a destra e a sinistra. 
 
Tuttavia deve essere un’autonomia determinata, capace di agire sulla strada dominante delle riforme nazionali, che per avere successo hanno bisogno anche delle città e del laboratorio torinese. Un’autonomia politica per le riforme: non già per un semplice e gregario sostegno personale al sindaco uscente, con cui semmai, visto il deserto bombardato a destra, va stabilito un accordo sulla strada da seguire per le riforme, anche a Torino.

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