Meno establishment più progetti

Nei giorni scorsi il segretario del Pd torinese ha avuto parole severe nei confronti del “voltafaccia” di una parte dell’establishment torinese che è passato senza soluzione di continuità dal sostegno a Fassino a quello alla giunta Appendino. Io credo invece che si sia trattato di un cambiamento di atteggiamento abbastanza scontato, anche se non è affatto escluso che una parte di coloro che hanno contribuito al successo dell’attuale Amministrazione, cominci a non essere del tutto convinta della scelta che ha compiuto. Questo riposizionamento dei “poteri” è avvenuto anche quando Cota subentrò alla Bresso e Chiamparino a Cota. E la stessa identica cosa avviene sul piano politico nazionale. Quindi non capisco lo stupore; posso capire l’amarezza di chi ritiene un tale atteggiamento ingeneroso, ma è sempre stato cosi.

L’establishment e i vari poteri tendono a stabilire un rapporto positivo con chi esercita il governo in quel momento perché, in maniera assolutamente legittima, vuole ricavarne i maggiori vantaggi possibili. La rottura o momenti di forte polemica si verificano solo quando uno dei vari livelli di governo compie scelte o assume orientamenti che entrano in aperto conflitto con gli interessi in campo. Illudersi che il sostegno dato più o meno apertamente, a questa o quella Amministrazione, una volta che questa si è insediata, non cambi col mutare delle situazioni politiche e dei risultati elettorali è un errore di ingenuità.

È capitato, capita e capiterà ancora.

Aggiungo che è altrettanto illusorio ritenere che il sostegno del cosiddetto “establishment” sia di per sé un veicolo per ottenere il consenso elettorale nel senso che è venuta meno la sua capacità di condizionare gli orientamenti elettorali. Non solo, ma sempre più spesso il voto è venuto caratterizzandosi come un voto anti-establishment che punisce i partiti che si identificano con esso e allentano invece il loro legame con il popolo. Nel caso di Torino, probabilmente, la domanda da porsi è se con il loro voto una parte di elettori non abbiano voluto punire proprio questa eccessiva identificazione ed esprimere una critica molto forte verso un certo immobilismo che da anni caratterizza gli assetti e la gestione del potere, continuando a rinviare quel ricambio all’interno di Enti e società pubbliche che molti avvertivano come necessario per valorizzare e liberare le tante energie di cui la città disponeva e dispone.

Vi è poi una questione più di fondo che riguarda la capacità dei partiti di avere una propria visione sul futuro della città e di esprimere una classe dirigente credibile, come lo è stata quella che per anni ha guidato per tutta una fase le trasformazioni della città. Un progetto che non può prescindere dagli interessi dei vari attori sociali, ma che deve saperli ricondurre dentro un quadro di scelte programmatiche rivolte ad affermare l’interesse generale. Ho sempre più l'impressione che questa capacità sia venuta meno col venir meno dell’esistenza dei grandi partiti di massa e della loro capacità di analizzare i processi reali e col prevalere di interessi particolaristici e di logiche prevalentemente elettoralistiche che li spingono a presentare programmi che il più delle volte si riducono ad essere una sommatoria di varie istanze, tra loro contraddittorie.

La sconfitta torinese è di quelle che bruciano per tante ragioni: perché veniva considerata una roccaforte della sinistra, perché le giunte Chiamparino e Fassino non hanno affatto demeritato, perché il sindaco della città è stato uno dei dirigenti più importanti del Pd. In altri tempi essa avrebbe imposto una riflessione vera, ma niente di tutto questo è avvenuto. È stata rimossa cosi come sul piano generale si è preferito soprassedere al risultato di quella tornata di elezioni amministrative perché confliggeva con la narrazione renziana. C’è da scommettere che alle prossime elezioni ci si dividerà sulle candidature alla carica di sindaco e di presidente della Regione e che rimarrà sullo sfondo la necessità di mettere in campo, insieme ad una classe dirigente, un nuovo progetto per la città e la Regione che rappresentano il cuore della sfida che il centrosinistra ha di fronte.

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