Anche i giornali capiscono poco

Caro direttore,
i partiti sono in crisi a capire che la vita della gente e delle imprese è stata prima sconvolta dalla crisi economica più grave del dopoguerra e poi molto cambiata dalla gestione della crisi ad opera della Ue e dei vari Governi, in particolare da Monti, ma non è che i giornali e i giornalisti stiano meglio. Da quando ho iniziato ad interessarmi della situazione del Paese ad oggi leggo almeno cinque quotidiani al giorno, da un po’ di tempo i giornali online, le riviste specializzate in logistica, seguo tg e molte trasmissioni di approfondimento. Negli anni ’70 non mi perdevo i comizi dei grandi leader della Prima a Repubblica, da Moro a Berlinguer, da Donat-Cattin a Amendola, da Ugo La Malfa a De Mita. Ho seguito centinaia di convegni a Torino, Milano, Roma etc. Ho letto migliaia di articoli di fondo di premi Nobel e di fuoriclasse come  Guido Carli, Umberto Eco, Montanelli, Pansa, Andreatta, Prodi, Tremonti. Non mi sono perso le interviste dei grandi imprenditori da Agnelli a Berlusconi, da Ghidella a Romiti, così come da anni non mi perdo l’Assemblea degli Industriali.

Ma non ho mai visto tanta distanza tra i discorsi dei Premier e la gente come negli anni della crisi, mai ho letto articoli di giornale così distanti dalla reale condizione delle aziende e della gente. Come si fa a chiamare disagio sociale il dramma di chi ha perso il lavoro o ha visto ridurmi lo stipendi del 40%?

A Torino neanche la forte denuncia di Mons. Nosiglia aveva smosso la interpretazione unica. La sconfitta di Fassino aveva costretto i giornali a chiedersi perché malgrado i tanti elogi alle Amministrazioni torinesi la gente avesse mandato a casa l’ex dirigente fabbriche del Pci che era passato dalle assemblee a Mirafiori ai salotti di Evelina e di Vergnano. Quando i Vescovi sono scesi in piazza contro la disoccupazione in piazza Castello a Torino  ad ascoltare l’Arcivescovo eravamo in sei cittadini,  io l’unico politico.

Si scambiò l’esito del referendum istituzionale come la punizione dell’antipatico di Firenze. Invece era la gente che aveva ben altri problemi. Le recenti elezioni hanno chiarito a tutti che questa volta gli scontenti invece di non andare a votare erano andati a votare per chi aveva protestato di più contro i provvedimenti di Monti e le indicazioni europee. Per anni si lodavano le Università torinesi e le start-up, oggi Profumo inizia a dire che forse non sono competitive come quelle emiliane o milanesi.

Si continua a dedicare paginate sul Salone del Libro dimenticando che per la economia cittadina inciderà pochissimo, e ci si dimentica di dire che, a fronte di un centinaio di Fiere internazionali organizzate in Lombardia,  in tutto il Piemonte, tra la Fiera del Tartufo e le Fiere dei Vini e appunto il Salone del Libro,  si svolgono solo nove Fiere di livello internazionale e nessuna di esse  riguarda la manifattura o la ricerca tecnologica.  Eppure nell’epoca globale, dove le aziende hanno sempre meno riferimenti al territorio dove sono nate, solo la politica può interpretare e difendere l’interesse generale, che dovrebbe avere al primo posto il lavoro, al secondo la sicurezza, al terzo il benessere dei cittadini e delle aziende.

Ma non si può avere una politica all’altezza dei problemi e delle sfide mondiali senza un giornalismo di grande qualità che legga ogni giorno la realtà e ne svisceri le problematiche senza alcuna subalternità. Dobbiamo lavorare a un grande rinnovamento della politica e dei partiti, pretendendo maggiore conoscenza dei problemi e competenza per risolverli per non scoprire 15 anni dopo che le riforme di Schroder del 2003 che rilanciarono la economia tedesca valgono dieci volte le riforme strombazzate negli ultimi anni e per aiutare la politica a capire che una crescita economica dell’1,6% come quella del 2017 non avrebbe potuto alleviare i grossi problemi sociali causati da anni di recessione e di crisi.

Una pubblicità vista ieri diceva che una coppia funziona se ognuno sa immedesimarsi nei problemi dell’altro. Vale anche per i politici e per i giornalisti. I più bravi sono quelli che sanno immedesimarsi di più nei problemi della gente e delle aziende e sanno indicare al Paese e perseguire l’interesse generale che oggi è la crescita della economia e del lavoro.

Scusami per la lunghezza.

*Mino Giachino, ex sottosegretario di Stato

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