FINANZA & POTERI

Da Ambrosini a Vietti, impazza il toto Crt. Il boccino nelle mani di Cirio e Lo Russo

Tra fole e autocandidature parte il valzer sulla successione di Palenzona. Il rovescio del destino assegna oggi agli sconfitti di ieri il ruolo di kingmaker: lo scounting di governatore e sindaco. Si cerca una figura estranea alle recenti faide interne a via XX Settembre

Quando, un anno fa, Fabrizio Palenzona entrò nella Fondazione Crt come un elefante in una cristalleria seminando cocci fino a ieri sera, a Stefano Lo Russo e Alberto Cirio non restò che osservarli quali simbolo di una sconfitta, fors’anche esito di strategie errate o, comunque inadeguate. Adesso, a distanza di mesi, con Big Fabrizio al tappeto e la spugna gettata su un ring dove ha creduto di poter combattere incontrastato, usando qualsiasi colpo, tocca proprio alla coppia istituzionale rimettere insieme i cocci e portare al timone della fondazione di via XX Settembre la figura giusta. Serve un profilo adeguato, non solo per lasciare in fretta alle spalle la tempesta, ma ancor più per assicurare una navigazione certa e tranquilla alla corazzata finanziaria del territorio. 

Non, dunque, corsari sia pure d’alto rango pronti a usare l’ente per ulteriori arrembaggi. Non più collezionisti di poltrone e bulimici di ruoli da ingurgitare a più non posso. Un “presidente di garanzia” è ciò che sindaco e governatore, uniti in questo impegno ancor più nella nota concordia istituzionale, dovranno individuare. Scegliendo un uomo (o una donna, chissà) che sia anzitutto estraneo alle faide che hanno portato alla fine anticipata del più breve mandato al vertice di Crt. 

Cirio e Lo Russo hanno tempo un mese, tanto prevede la statuto per la nomina del nuovo presidente in capo al Consiglio di indirizzo, per vagliare, scegliere e proporre chi più che una scomoda eredità dovrà ricevere un mandato per un nuovo corso che riporti, pur adeguando ai tempi, alle finalità filantropiche e di intervento a favore del territorio il ruolo della fondazione. Nel paradosso che vede gli sconfitti di un anno fa giocare oggi quello di kingmaker, Cirio e Lo Russo non sono stati colti del tutto di sorpresa, tant’è che nelle stesse ore in cui in via XX Settembre si consumava l’epilogo palenzoniano, i due si riunivano per analizzare i possibili scenari futuri, pur non sapendo né potendo prevedere la decisione dell’ormai ex presidente. Il clima era però già ben chiaro ad entrambi e altrettanto la precarietà del necessario equilibrio all’interno dell’ente e nei suoi risvolti esterni.

Una sorta di anticipo del compito cui sono chiamati, con la consapevolezza del fatto che il successore di Palenzona sarà eletto dal nuovo consiglio di indirizzo, che si insedierà il prossimo 7 maggio, la cui composizione non ha certo soddisfatto le aspettative di Lo Russo il quale aveva come suo “candidato” Gianfranco Morgando, così come quelle di Cirio che si è visto escludere il suo indiretto predecessore Enzo Ghigo. La composizione del parlamentino della fondazione manca ancora del terzo dei quattro cooptati, ma questo non è un ostacolo visto che il quartetto è previsto come massima possibilità, ma lo statuto non stabilisce l’obbligo di raggiungere quel numero. Tant’è che con ogni probabilità il 7 maggio, il vicepresidente vicario Maurizio Irrera fisserà un’ulteriore riunione per l’elezione del presidente, lasciando supporre quindi un plenum nei suoi pieni poteri, pur composto da 21 membri, di cui 18 provenienti dalle terne fornite dagli enti rappresentati. Il problema è, semmai, quello di verificare quanto è solido il legame fiduciario tra i neo consiglieri e gli enti che li hanno indicati. Questione tutt’altro che maerginale.

Un mese di tempo per il nuovo presidente che, quindi, sarà eletto prima di un’altra elezione, quella per la Regione. Non molto per Cirio e Lo Russo, ma già abbastanza per far partire come al solito l’immancabile totonomi. Mentre incominciano a girare i primi, assai più certezze si prospettano sul profilo. È chiaro non solo a sindaco e governatore, ma a tutti coloro che dovranno poi votare, come sia imprescindibile una figura in grado di fornire autorevolezza, essere estraneo alle ultime vicende che hanno rischiato di trasformare il Palazzo Perrone in un saloon e, possibilmente, che sia un torinese. Dopo il cuneese Giovanni Quaglia e il mandrogno Palenzona, non è solo l’orgoglio campanilistico a suggerire l’opportunità di ricondurre sotto la Mole la scelta del futuro numero uno. I segnali degli stakeholder in tale senso sono sempre più chiari e pressanti.

Tra gli elementi di cui tenere conto c’è l’assenza, a differenza di quanto previsto per la Compagnia di Sanpaolo, del limite di età. Certo, questo non significa ipotizzare l’arrivo di un matusalemme, ma resta comunque un vincolo in meno su una strada ancora tutta da percorrere, lungo la quale tuttavia già restano sul ciglio nomi importanti, ma senza possibilità in quel vaglio ad escludendum che precede la vera e propria individuazione del prescelto o comunque di una rosa ristretta su cui ragionare. Escluso (a quanto pare dallo stesso sindaco) un ritorno in campo del notaio Andrea Ganelli, troppo usurata la sua immagine pubblica, compromessa da qualche svarione di cui forse non è il solo responsabile. Così come difficilmente si guarda a Luca Asvisio, il presidente dell’Ordine dei commercialisti, fino all’ultimo in corsa per la fondazione cugina di corso Vittorio e nella quale ha appena assunto la presidenza del collegio dei revisori: stesso ruolo rivestito in via XX Settembre al fianco di Quaglia.

Sarebbe un premio alla carriera, trovando finalmente quell’attestato che ricerca da tempo in patria, Michele Vietti, democristiano di lungo corso, ex presidente del Csm, uscito un tantino ammaccato (ma non coinvolto sul piano giudiziario) dal caso Palamara-Amara-Loggia Ungheria, parcheggiato in Finpiemonte dopo essere stato liquidato dalla finanziaria lombarda. Sembrerebbe però paradossale che mentre si scartano figure troppo compromesse con le faide interne (una su tutte proprio il vice Irrera), si virasse sul marito della consigliera di amministrazione che più si è distinta nella guerriglia contro Palenzona: con Caterina Bima si ritroverebbero a fare le riunioni del cda nel tinello di casa, forse eccessivo.

Tra i possibili papabili circola un nome che torna periodicamente a ogni girton di nomine: quello dell’ex ministro Domenico Siniscalco, attuale vicepresidente di Morgan Stanley il cui profilo s’attaglierebbe senz’altro a quello auspicato, seppur di così alto standing da non trovare nessuno che se lo intesti apertamente. Altro nome che s’affaccia nelle ancor vaghe congetture è quello di Mario Napoli, a lungo presidente dell’Ordine degli avvocati, professionista integerrimo e persona equilibrata. Così come non mancano i solito noti che, come si osserva con sarcasmo negli ambienti vicini a Crt s’offrono per i destini della fondazione: da Maria Luisa Coppa al quasi ex presidente dell’Unione Industriali Giorgio Marsiaj, al numero unio della Camera di Commercio Dario Gallina. E il solito pensionato di lusso, l’ex presidente berlusconiano della Regione Enzo Ghigo, oggi diviso tra la passione ciclistica e il Museo del Cinema, trascorre gran parte dell’anno al mare nella sua bella casa sulla collina di Alassio: figura perfetta per assicurare un elegante immobilismo.

Ma c’è un’altra figura di peso e dal curriculum accademico e professionale che, a dispetto della ribadita assenza di nomi nei loro ragionamenti, sarebbe negli appunti di Cirio e Lo Russo ed è quella di Stefano Ambrosini. Docente universitario, da consigliere della Compagnia di San Paolo è stato autore della riforma statutaria, advisor e commissario per questioni di rilevanza nazionale, come l’attuale incarico al Mose di Venezia, ex presidente di Veneto Banca e già al vertice di Finpiemonte dove, dopo l’azione di trasparenza che ha portato a scoperchiare gli ammanchi milionari, Cirio avrebbe voluto restasse ancora. Ambrosini in città porta un cognome pesante (il padre Giangiulio è stato tra i fondatori di Magistratura democratica), ha solide relazioni bipartisan, è pacato quanto basta per prendere decisioni anche impopolari. Che sia disponibile o ne abbia voglia è un altro paio di maniche. Una cosa è certa, alla Crt serve una guida ferma per lasciarsi alle spalle la piazzola dove si è fermato in panne il camionista di Tortona.

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