LOTTA AL COVID

Pochi tamponi molecolari. E quelli rapidi sono "vecchi"

Il Piemonte ha antigenici di prima e seconda generazione ritenuti dal ministero poco affidabili. L'assessore Marnati: "Difficile trovare quelli di ultimo tipo". Rossi (Pd): "Siamo attrezzati per la variante inglese?"

Da giorni ormai in Piemonte si stanno facendo molti più tamponi rapidi rispetto ai molecolari. L’ultimo bollettino, quello di ieri, indicava che degli 11.050 test complessivi ben 7.029 sono antigenici, ovvero rapidi. Ma c’è un dato che non emerge dal resoconto quotidiano: i tamponi rapidi che si fanno negli hot spot, così come agli ingressi degli ospedali e nelle altre circostanze in cui è richiesta la verifica della positività al Covid, sono di prima e seconda generazione, ovvero quelli che nella circolare dell’8 gennaio inviata dal Ministero della Salute vengono sostanzialmente definiti meno attendibili non solo (e questo era noto) rispetto ai test molecolari, ma anche a quei rapidi di terza generazione. Di cui il Piemonte ne possiede “pochi”, per stessa ammissione dell’assessore con delega ai laboratori Matteo Marnati e la cui reperibilità sul mercato ad oggi si presenterebbe “complicata”.

Nel corso dell’audizione in IV Commissione, lo stesso Marnati ha spiegato che nei magazzini ci sono ad oggi circa 96mila test rapidi di prima generazione e 230mila di seconda. Scorte frutto del massiccio acquisto, cui non ne avrebbe fatto seguito uno altrettanto corposo per dotare il sistema sanitario regionale di quei test fortemente raccomandati dal ministero per evitare falsi negativi. Che poi è proprio ciò che è accaduto poche settimane fa al San Giovanni Bosco, dove si è sviluppato un focolaio che ha coinvolto pazienti e operatori sanitari. Gli stessi tamponi rapidi sono usati anche nelle Rsa, scelta contestata da alcune associazioni dei gestori, come l’Anaste, che hanno ripetutamente chiesto alla Regione di fornire test di terza generazione oppure i tradizionali tamponi molecolari. A conferma del rischio che l’utilizzo dei test acquistati nei mesi scorsi può comportare nell’attestazione di falsi negativi, è arrivata pochi giorni fa la disposizione del Dirmei affinchè per gli ingressi negli ospedali si utilizzino i molecolari e solo in casi eccezionali i rapidi.

Ma, purtroppo, non finisce qui. Già, perché i timori e la concreta eventualità di una possibile diffusione della variante inglese del Covid e di altre, impongono un maggiore rigore e un’altrettanta attendibilità nell’azione di contact tracing. Ed è a questo proposito che il consigliere del Pd Domenico Rossi, vicepresidente della commissione Sanità di Palazzo Lascaris, ha presentato un’interrogazione con la quale, tra l’altro, chiede proprio “se i tamponi rapidi in uso nella nostra regione siano adeguati alla rilevazione della variante”. Rossi chiede, inoltre “quali azioni si intenda mettere in campo per sopperire all’eventuale mancanza di efficacia dei tamponi antigenici qualora ci trovassimo in un contesto di elevata circolazione del virus nella sua variante inglese”.

Nel corso dell’audizione, dove Marnati ha annunciato un accordo in fase di definizione con l’Istituto Zooprofilattico per processare i tamponi (peraltro lo stesso istituto era già inserito nell’elenco dei centri, pubblici e privati, che da mesi processano i test), è stato fatto nuovamente rilevare come in Piemonte, al contrario delle altre regioni, si ricorra all’uso dei rapidi rispetto ai molecolari. Una ”anomalia” difficilmente spiegabile con la scarsità di laboratori, giacchè come lo stesso Marnati ha più volte sottolineato, dopo la prima ondata il rafforzamento della rete con l’apertura di una ventina di centri tra cui quello dell’Arpa consentirebbe di trattare numeri decine di volte superiori a quelli attuali. Se poi i tamponi rapidi in dotazione sono quelli meno affidabili, come stabilito dal ministero, risulta ancor più incomprensibile la continua riduzione del numero dei test molecolari che si effettuano ogni giorno.

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