TRAVAGLI DEMOCRATICI

Appendino spacca il Pd

A un anno dalla sconfitta elettorale i piddini ricevono gli sberleffi dei grillini. Il patto proposto si è rivelato un autogol. Il capogruppo Lo Russo sul banco degli imputati alla direzione provinciale del partito. Tra opposizione e concordia istituzionale

Un anno dopo aver sconfitto i piddini, Chiara Appendino è riuscita anche farli litigare tra loro. Impresa che ha richiesto un dispendio di impegno infinitamente minore rispetto alla conquista di Palazzo di Città. Praticamente prossimo allo zero. È bastato, infatti, quel no alla mano tesa dal capogruppo dem Stefano Lo Russo, che la sindaca manco si è spesa a pronunciare in prima persona, delegando l’incombenza all’“altra” Chiara, la neo capogruppo Giacosa e relegando, con questo gesto politicamente significativo, la questione a una pratica di poco conto. Non intesa così in casa Pd dove, appunto, l’offerta avanzata dal numero uno del partito in Sala Rossa dalla terrazza del Nazareno di una collaborazione che si sarebbe concretizzata in un patto per la città e l’immediato respingimento al mittente da parte grillina hanno scatenato l’ennesimo vespaio, di cui specie in questo periodo nessuno sentiva il bisogno.

I fronti pro e contro la sortita del capogruppo si sono subito delineati con nettezza in via Masserano e negli altri Palazzi, con ovvia cassa di risonanza sui social network. “Bravo Lo Russo. Meglio tardi che mai – aveva postato il presidente del consiglio regionale Mauro Laus –. Da tempo sostengo la necessità di sedersi ad un tavolo per risollevare, sulla base di poche e chiare idee comuni, le sorti di una città che si trova in evidente difficoltà”. Diametralmente opposto il giudizio del segretario torinese Fabrizio Morri: “Una mano tesa all’Appendino? Quella non è la posizione del Pd”. Già qual è? Forse, ma forse, lo si capirà domani al termine della direzione provinciale dove lo stesso Morri potrebbe presentare sulla vicenda un ordine del giorno che rumors indicano come piuttosto incisivo, in cui partendo da un giudizio negativo e senza appello sull’operato dell’amministrazione si sollecita un’adeguata forte opposizione. Atteso pure l’intervento di Stefano Esposito, ormai lanciato verso la competizione per la segreteria regionale e mai stato morbido con i Cinquestelle.

Resta da capire, oltre alla linea del Pd sulla vicenda, la genesi e il disegno che Lo Russo ha certamente seguito in quella che a molti è parsa una mossa alla Tafazzi e come tale, in effetti, è stata catalogata da gran parte di quegli elettori che hanno mostrato la loro perplessità (altro eufemismo) rispetto all’assist offerto ai grillini per tirare un rigore a porta vuota. E senza neppure dover prendere la rincorsa. Trattandosi di Lo Russo nessuno crede a un inciampo dovuto a ingenuità, né tantomeno a un atto di generosità politica malamente respinto. Allevato e cresciuto nella stia democristiana, il capogruppo piddino sa che “certe” proposte più o meno indecenti si manifestano pubblicamente solo dopo aver saggiato le intenzioni dell’interlocutore e che i “patti” si formulano esplicitamente quando si ha contezza del riscontro del contraente. Quindi, Lo Russo che è politico sufficientemente navigato e ancor di più cinico non poteva attendersi da parte di Appendino una risposta diversa. Ma la proposta l’ha lanciata ugualmente. Intendeva farsela respingere per svelare il volto autarchico del grillismo nostrano? Sai che trovata! È stato un messaggio alla platea degli stakeholder casalinghi preoccupati dall’inconsistenza del governo pentastellato che, a detta di qualche ex assessore della giunta Fassino, sollecitano il Pd a una opposizione “responsabile” (tradotto: concordia istituzionale dal tratto inciucista)? Invitiamo a diffidare di un certo milieu, che ha giocato un ruolo non proprio marginale nell’esito della partita elettorale, una classe dirigente che ha rinnegato se stessa chiudendosi in un ceto autoreferenziale e altamente colpevole del declino della città.

Al netto dei soliti tromboneggiamenti che inneggiano alla bontà del gesto e al bene comune di Torino (Fassino l'ha difesa, tardivamente, per ragioni di partito), qui si è di fronte a un autogol bell’e buono, in un periodo in cui il Pd di reti non ne segna da un pezzo. Ovvio l’apprezzamento, misurato ma chiaro, di Sergio Chiamparino all’iniziativa del capogruppo. E ci mancherebbe che il co-creatore del Chiappendino smentisse se stesso. La differenza è che il Chiampa lo ha fatto – non chiamiamolo patto, per carità – senza né chiederlo, né annunciarlo, anzi riducendolo agli occhi di chi ha visto ben presto l’ircocervo politico nella ormai nota “collaborazione istituzionale”. Non digerita, anch’essa, da tutto il Pd, anzi. La differenza è, però, notevole. Nel caso del Chiappendino si rumoreggia, si arricciano i nasi e si mugugna tra i dem. Nel caso del rifiuto arrivato, per interposta persona, dalla sindaca si sente forte il rumore dello schiaffo. In faccia al Pd. Lo si poteva evitare? Qualcuno è caduto in una trappola? Si sono parlati linguaggi diversi? Le domande sono molte. Le risposte mancano. Forse qualcuna potrà arrivare domani, forse. Di certo c’è che la Appendino è riuscita, dopo averlo sconfitto lo scorso anno, anche a dividerlo, il Pd. Senza neppure muovere un dito. Hanno fatto tutto loro.