Craxi e la Prima Repubblica

Il ricordo dei 20 anni della scomparsa di Bettino Craxi non solo ha innescato un dibattito sul magistero politico, istituzionale, culturale della vita del leader socialista. E anche, com’è ovvio, sul suo risvolto giudiziario. Ma, al contempo, è stata anche una occasione per rileggere storicamente e politicamente una fase che continua a dividere e a lacerare le opinioni di storici, giornalisti, politici, politologi e intellettuali.

Ora, al di là della figura di Craxi su cui si è già discusso approfonditamente in queste settimane, vorrei richiamare l’attenzione su due soli temi che continuano ad essere al centro dell’attenzione. Ovvero, il giudizio su quella classe dirigente – quella degli anni '80 per intenderci – e il ruolo dei partiti di riferimento. Due argomenti strettamente intrecciati tra di loro che portano ad una domanda di fondo: si tratta di una fase “criminale” della politica italiana o di una stagione politica fatta da statisti e da leader politici che poi non abbiamo più trovato neanche organizzando ricerche mirate e demoscopiche? Perché, alla fine, di questo si tratta, al di là dell’accanimento contro le singole persone da un lato o della massiccia faziosità che accompagna il giudizio su quella fase storica della politica italiana.

Io credo, nello specifico, che almeno su due elementi si possa aprire un sereno e costruttivo dibattito dove i giudizi, al di là della faziosità e del settarismo dei soliti noti, sono abbastanza concordi. E cioè, la classe dirigente politica – almeno a livello di leadership dei vari partiti – era mediamente superiore a quella che abbiamo sperimentato dopo la fine della cosiddetta “prima repubblica”. La competenza, l’autorevolezza, la preparazione e il peso politico non sono minimamente comparabili con quello che concretamente è capitato dopo. Per non parlare della stagione politica contemporanea dove ogni confronto è del tutto inutile se non scontato.

In secondo luogo, e per quando riguarda i partiti di quella stagione politica – stagione ovviamente datata e storicizzata – si tratta di movimenti politici che avevano una identità politica e culturale precisa, un radicamento sociale ed organizzativo ben definitivo e una classe dirigente locale e nazionale di livello. Pur senza santificare nessuno. Anche su questo versante, ogni confronto con le stagioni che si sono progressivamente susseguite è del tutto impari. Al punto di arrivare alla stagione contemporanea dove prevalgono solo e soltanto i partiti personali, il ruolo salvifico e miracolistico dei capi e dei guru, e i partiti intesi e vissuti come cartelli elettorali e luoghi alle dipendenze del capo. Una distanza siderale rispetto a tutto ciò che abbiamo conosciuto e praticato in quegli anni.

Poi c’è un ultima questione legata alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto, come tutti sanno, molti esponenti di primo piano della prima repubblica, a cominciare appunto dal leader socialista scomparso 20 anni fa in Tunisia. Su questo versante ogni commento sarebbe superfluo, perché si tratta di fatti sufficientemente noti. Anche se fu una stagione che conserva ancora molti punti oscuri e controversi.

Comunque sia, l’aspetto importante che scaturisce da questa vicenda è che, finalmente, seppur con eccessiva prudenza e lentezza, è decollato un dibattito politico, culturale e sociale su ciò che ha rappresentato quella fase politica per la nostra democrazia e per le nostre istituzioni democratiche. In sintesi, per il nostro Paese. E questo, grazie anche al bellissimo film di Gianni Amelio e interpretato magistralmente da Pier Francesco Favino.

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