Il sindaco che impila le sedie

Un giovane uomo sposta sedie dopo averle impilate una sull’altra. Sta lavorando alla risistemazione dell’area palcoscenico all'interno della fortezza sabauda settecentesca, dove è appena terminato uno spettacolo all'aperto. La nota artista protagonista della kermesse teatrale lo osserva, mentre uno dei responsabili del bene storico invita il lavoratore ad avvicinarsi: “Signora, le vorrei presentare il sindaco di questo comune”, la donna sorride e ribatte “Il sindaco? Credevo fosse il ragazzo tuttofare”.

Sembra un aneddoto di pura fantasia, invece è l’immagine fedele di cosa significhi essere il “Primo cittadino” di un piccolo comune. Nelle valli alpine, come in buona parte dei territori extraurbani, l’incarico è molto faticoso. Oltre alle usuali responsabilità, il sindaco ha un rapporto diretto con i propri elettori, sovente a scapito del riposo domenicale e notturno. Inoltre quotidianamente deve vestire i panni dell'operaio comunale per portare avanti piccoli lavori urgenti, indifferibili (quali la posa di transenne oppure la pulizia di una piazza che ha ospitato un evento pubblico).

La differenza tra questo modo di fare politica e quello di chi siede in Parlamento, in Regione o sulle poltrone di sindaco nelle grandi città è enorme. Da una parte l’agire per il territorio e tra le persone, a fronte di indennità da fame, dall'altra un tirare le fila (ma non sempre a favore del bene pubblico) in cambio di sostanziosi gettoni di presenza.

Riguardando le vecchie puntate Rai di “Tribuna politica”, condotte dal rimpianto Ugo Zatterin, balza agli occhi un secondo grande vuoto, ossia il triste raffronto tra una vecchia classe politica colta e preparata, anche quando si trattava di "arraffoni", e l'attuale assenza di coscienza e consapevolezza che caratterizza gran parte degli eletti dei giorni nostri.

Nel dopoguerra faccendieri, virtuosi delle clientele (dal ricco bacino elettorale) e individui sensibili al volere delle cosche si sono mescolati a parlamentari che hanno vissuto il Fascismo e la guerra di Liberazione. Questi ultimi, con grande fatica, hanno portato nelle stanze di Palazzo Montecitorio e di Palazzo Madama i valori maturati in decenni segnati dalla sofferenza, dalla miseria e spesso dalla fame. Di conseguenza, nei primi anni di vita della Repubblica la visione della politica era di lungo periodo: i piani economici si misuravano con i diritti assoluti dei cittadini e la tutela dei lavoratori.

Alla vigilia di un voto importante alcune riflessioni sono doverose. La Democrazia non può essere lasciata nella mani di chi produce retorica in quantità industriale, e neppure in quelle di coloro che generano, al fine di raccogliere ampio consenso, un qualunquismo incentrato su emozioni forti ed eversive nei riguardi dell'insegnamento costituzionale. Il prossimo referendum confermativo (del 20 e 21 settembre) andrà ad incidere sulla nostra Costituzione, in particolar modo sul delicatissimo meccanismo della rappresentanza, nonché su quello della tutela delle espressioni partitiche minori.

Il sindaco che sposta pesanti cataste di sedie non appartiene a un passato lontano, e neppure è frutto di una visione favolistica o bucolica dell’esistenza nelle piccole comunità, ma è un esempio vivido di cosa significhi impegnarsi realmente per la propria gente. Senza passione, dedizione nell’eseguire l’incarico ricevuto, lealtà e (last but not least) onestà non è possibile rappresentare (o proteggere) gli interessi sociali e individuali dei cittadini. In assenza di tali qualità è probabile che il consigliere o l'amministratore comunale sia in grado di soddisfare solo il proprio narcisismo, insieme alle istanze di coloro che ne hanno finanziato generosamente la candidatura.

Il decadimento che si respira nelle sale delle Camere e in quelle dei consigli rispecchia quello delle società occidentali. Un declino che coinvolge i partiti quando selezionano i loro candidati in base alla quantità di voti di cui possono disporre: è più utile alla loro causa un incapace (magari disonesto) che una persona preparata e retta.

I mali affliggenti il sistema non sono curabili riducendo il numero dei parlamentari.

Eliminare un terzo dei seggi non può essere una scelta dettata da motivi di efficienza decisionale, poiché in tal caso si risolverebbe tutto mettendo una sola persona al potere, magari il Re oppure un nuovo Duce (gli aspiranti in questo caso non mancherebbero). Nello stesso modo il taglio dei seggi, a parità di indennità e benefici, crea una “Supercasta” pagata profumatamente a cui accede esclusivamente chi può pagare campagne elettorali dai costi esorbitanti.

Ogni legislatura è afflitta da maldestri tentativi di stravolgere la Costituzione intaccando i principi su cui si regge la Democrazia parlamentare. Mi piace pensare a cittadini pronti a recarsi al voto di settembre dopo aver compiuto le doverose valutazioni in merito, senza cadere vittime di sensazioni viscerali e campagne mediatiche sponsorizzate da chi vorrebbe un solo uomo al comando.

Mi piacerebbe davvero tanto, ma i tempi della Costituente sono oramai lontani e oggi vince chi grida frasi senza senso più forte degli altri. Buona notte Italia, fai bei sogni.

print_icon