TRAVAGLI DEMOCRATICI

Il candidato sindaco del Pd? Lo sceglie Appendino

La prima cittadina grillina condiziona, più o meno direttamente, la scelta del centrosinistra. Uscito di scena Saracco, sfilatosi Giorgis ora vede di buon occhio Salizzoni. Ma in fondo non disdegnerebbe di riportare a Palazzo civico Chiamparino

Più passano i giorni, più è difficile non vedere il convitato di pietra nelle travagliate discussioni all’interno del Partito Democratico torinese. La presenza tanto incombente quanto negata dei Cinquestelle e della loro sindaca (autosospesa) nell’individuazione dei profili di coloro che tra un passo indietro e un passo falso scorrono nell’elenco dei potenziali candidati a sindaco è innegabile. Fino a quando non ha annunciato la sua indisponibilità a rappresentare il centrosinistra nella contesa elettorale per le comunali di primavera (o di quando sarà, semmai un non improbabile rinvio dovesse spingere avanti le urne) Guido Saracco, senza nulla togliere al suo profilo accademico, era il candidato perfetto per una parte dei dem proprio perché lo era anche per Chiara Appendino. La scelta su di lui non era stata fatta senza tenere conto di questo, anzi il sostegno convinto da parte di Sergio Chiamparino  aveva come contrappunto quello della sindaca. E chissà che tutto non fosse partito proprio da lì: da un’intesa siglata mesi fa tra i due, un parto di quel Chiappendino che dopo aver gestito per tre anni in nome della “concordia istituzionale” le principali partite della città vuole porsi come garante degli assetti di potere per il prossimo lustro per ragioni diverse ma convergenti.

Uscito di scena il rettore del Politecnico, avanza Mauro Salizzoni. La via pare la stessa, anche se il luminare dei trapianti, la cui meritata e indiscutibile fama scientifica è anni luce distante dalle operazioni della politica politicante, mostra forse in maniera eccessiva e ingenua quel tratto comune con il suo “predecessore” di apertura verso l’alleato nel governo del Paese, avversario in quello della città. Non ha mancato, il professore, di rimarcare in più di un’occasione e anche in una recente intervista quell’apertura verso i grillini che pare ormai la conditio sine qua non (im)posta dalla parte sinistra del Pd per dare il disco verde alla candidatura. Senza mettere in discussione la legittimità del Salizzoni-pensiero, per quanto assai ingenuo, la dichiarata non belligeranza con chi ha amministrato la città negli ultimi anni mette in luce la contraddizione più marcata del Pd. Passare in un pugno di mesi dal  “Mai con i Cinquestelle” a ipotizzare accordi locali con l’alleato al governo nazionale, foss’anche solo al secondo turno, significa aver perso la bussola e orientare la propria azione esclusivamente da supposte convenienze tattiche, di corto respiro. E peraltro manco corroborate da sondaggi e analisi.

Non sfugge, o almeno non dovrebbe sfuggire, che proprio chi dalla vittoria di Appendino ad oggi ha interpretato non solo il giusto ruolo di opposizione, ma anche la stessa linea del Pd, oggi sembra pagare proprio questa coerenza e proprio in virtù di quel cambio di rotta negato quanto evidente nei confronti dei Cinquestelle. Si preferisce, a quanto pare, seguire una strada su cui, periclitante, è in marcia Salizzoni, tra inciampi e incomprensioni su primarie e altro ancora, mentre ai bordi si muovono immancabili capataz e signorotti delle tessere (e dei tosaerba) attenti a piazzare loro uomini financo nello staff del papabile candidato, lasciando immaginare regie meno visibili, ma non poco influenti. Un gioco irresponsabile e cinico, in cui convenienze di bottega, afflati donciotteschi e rigurgiti di sinistrese trovano eco in altri Palazzi (particolarmente in uno, di corso Vittorio). La circonvenzione di capace, espressione che abbiamo usato per descrivere quel che si muove attorno a una figura meritoriamente nota per le sua capacità professionali com’è quella di Salizzoni, non può non richiamare anche i limiti oggettivi che l’approcciare non solo la politica, ma soprattutto l’amministrazione complessa di una città, potrebbe tradurre in altrettante difficoltà.

E tornando al ruolo di opposizione e di interprete della linea del Pd nei confronti del M5S, appare a dir poco singolare che chi l’ha guidata e la guida tuttora debba pagarne il prezzo. Più direttamente: Stefano Lo Russo, il capogruppo mandato al fronte a battagliare contro Appendino e la sua giunta adesso nelle intenzioni di più d’uno dovrebbe essere destinato alle retrovie per non disturbare un trattato di pace segreto e un’alleanza con i grillini la cui negazione è un esercizio ardito con sprezzo del ridicolo per più di un cacicco dem. Che il capogruppo non aggradi ad Appendino è evidente, quanto logico. Ma questo anziché una medaglia al valore pare tramutarsi in qualcosa di imbarazzante. Insomma, meglio candidare chi piace alla sindaca con un futuro al vertice delle Atp Finals dove gli impedimenti dettati dal limite del suo mandato da prima cittadina farebbe parte di quegli accordi che ormai è difficile non subodorare tra chi governa oggi la città e chi spera di farlo nei prossimi cinque anni.

In questo teatro (non di rado dell’assurdo) si muove naturalmente con consumata abilità e understatement chi il sindaco lo ha fatto e che con chi gli è, indirettamente, succeduto ha interpretato in maniera molto pro domo sua  il concetto di concordia istituzionale. Ad Appendino sarebbe piaciuto come candidato Saracco, le andava bene Andrea Giorgis, non ha nulla in contrario su Salizzoni. Ma se il mago dei trapianti non dovesse arrivare a correre la sua maratona più faticosa e difficile, chissà che la sindaca non trovi proprio il suo candidato preferito, uber alles, come direbbe lei che parla bene il tedesco: Sergio Chiamparino. Dovesse scegliere lei non ci sarebbero dubbi. Il sospetto che conti (e molto) il suo viatico, sembra quasi una certezza.

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