Il Pd e il dogma delle primarie

C’è poco da fare. Per un momento abbiamo sperato, e auspicato, che il dogma delle primarie – un semplice strumento burocratico e protocollare della lotta politica – poteva essere accantonato a vantaggio di un rinnovato protagonismo delle leadership dei partiti. Parliamo, come ovvio, della scelta del candidato a Sindaco di Torino della coalizione di centro sinistra. Cioè del Pd. E questo al di là delle sempre più sfrenate ambizioni personali di alcuni candidati e dei vari tatticismi e posizionamenti di potere delle varie correnti e tribù che compongono il Partito democratico torinese.

Ora, si tratta di capire come si potranno declinare concretamente, nell’attuale contesto sociale dominato ancora, e purtroppo, dalla pandemia, queste benedette primarie. Escluse, pare di capire, quelle che si sono svolte per anni con i gazebo e quindi con la partecipazione diretta dei militanti, dei simpatizzanti e degli elettori del Pd e della sinistra, adesso si parla addirittura di “primarie online”. Cioè di una consultazione sostanzialmente simile alla tanto contestata “piattaforma Rousseau” cara ai metodi grillini e di Casaleggio. Con l’aggravante che, mentre per il partito di Grillo questa modalità è da tempo disciplinata e ampiamente collaudata, per il Pd si tratterebbe di una prima sperimentazione effettiva.

Ma la domanda centrale che emerge da tutto questo dibattito, sempre più ingarbugliato e misterioso, resta sempre la stessa. E cioè, è possibile che, prima o poi, i gruppi dirigenti dei partiti – nel caso specifico del Pd – si assumano direttamente la responsabilità della selezione della propria classe dirigente? Soprattutto in un periodo dove, effettivamente, ogni pubblica consultazione resta al momento sostanzialmente impraticabile e impossibile? È così difficile riaffermare il protagonismo e l’autorevolezza dei partiti, attraverso le scelte concrete dei suoi gruppi dirigenti per la definizione dei vari candidati?

Compreso, come ovvio, il candidato a Sindaco di Torino del Pd? Certo, ogni confronto con il passato è sostanzialmente impossibile perché non esistono più quei partiti e quelle classi dirigenti. Ma un soprassalto di orgoglio adesso sarebbe necessario e forse anche indispensabile per ridare, appunto, credibilità e prestigio alla politica stessa e, soprattutto, ai suoi strumenti principali, i partiti. Sarebbe, questo, anche l’unico modo per evitare di infilarsi in procedure e modalità sempre contestate e che, se vogliamo dirlo, sono e restano alternative ai partiti e alla loro organizzazione democratica nella società contemporanea.

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