All'industria manca un museo

A Torino ci sono oltre trenta musei, ma nella capitale dell’industria italiana non c’è un museo dell’industria. È  ora di pensarci come tributo a un passato che ha caratterizzato la storia di questa città e un presente che è figlio di quella storia. Un museo che possa diventare trait d’union tra il progresso industriale che ha caratterizzato il secolo scorso e le nuove generazioni che oggi sono sottoposte a un massiccio attacco culturale sull’anello di congiunzione tra la scuola e il mondo del lavoro. 

Anche Fabio Fazio dice che la scuola serve per formare e non per trovare un lavoro. E noi come stiamo educando i nostri figli? Pessima affermazione quella del presentatore Rai, perché la scuola deve formare culturalmente, fornire basi solide e fare crescere i ragazzi ma deve anche orientare in base alle aspirazioni dei ragazzi o alle possibilità e anche ai – purtroppo – limiti dati da condizioni sociali ed economiche per trovare un lavoro. Sennò Fazio spieghi perché esistono le scuole professionali e, avendo frequentato da sindacalista con le borse di studio in ricordo delle vittime della Thyssen scuole professionali, assicuro al conduttore che dentro quelle scuole si trova tanta umanità e attenzione per quei ragazzi che sono sicuramente più fragili di un liceale.

Il secondo terribile incidente accaduto nelle Marche ha di nuovo rilanciato un attacco distorcente al delicato passaggio tra scuola e lavoro, legato soprattutto alle scuole professionali. I liceali, che non vivono quel mondo degli stage previsti nei professionali occupano (con il consenso dei presidi) le scuole con, tra le parole d’ordine, basta alternanza scuola lavoro.

Per aiutare a crescere i nostri figli, come per fare bene il sindacalista o l’amministratore, non bisogna dare sempre ragione ai nostri ragazzi ma bisogna farli ragionare, confrontarsi, facendo scoprire loro le contraddizioni dei loro pensieri. Perché tutto ciò li porti a riflettere. I liceali e i loro insegnanti hanno capito perché esistono le scuole professionali? E perché  gli studenti delle scuole professionali non si stanno mobilitando? Per capire suggerisco di inserire nei programmi delle occupazioni liceali incontri con gli studenti e gli insegnati delle scuole professionali.

Voglio riportare le parole di Padre Sante Pessot, il direttore del centro professionale Artigianelli di Fermo.  “Siamo devastati da questa perdita che ci lascia senza parole e siamo vicini alla famiglia in questo momento di dolore”, ha detto padre. “Lo viviamo in silenzio, nella vicinanza e nella preghiera, secondo il nostro stile”. Il direttore del centro ha spiegato che i ragazzi che lo frequentano “sono impegnati in attività di stage che li accompagnano nel mondo del lavoro, fanno esperienze dirette con aziende con cui collaboriamo da anni”. Si tratta, dunque, “di attività co-progettate con le imprese, nel rispetto delle normative nazionali e regionali, che preparano a un inserimento graduale e responsabile nel mondo del lavoro, con il supporto dei nostri docenti e tutor. “I momenti di esperienza sul lavoro fanno parte del loro percorso formativo e sono un momento fondamentale per la costruzione del loro futuro, come alunni di un centro di formazione e professionale vivono con entusiasmo gli spazi di stage”.

Ecco perché a Torino serve un “museo vivente” dell’industria in cui ci sia la possibilità di vedere all’opera i cambiamenti tecnologici, organizzativi e soprattutto di sicurezza avvenuti negli ultimi cent’anni. Un bell’esempio, in miniatura, su cui costruire l’idea è il museo del cuscinetto della Skf a Villar Perosa dove è rappresentata un’officina dell’inizio novecento con le macchine utensili alimentate da un unico albero al soffitto e collegato alle macchine utensili con pulegge, sino ai vari strumenti di lavoro per l’ufficio e l’officina.

Andrebbe sviluppata quell’idea, per fare capire ai giovani studenti, compresi quelli che in fabbrica non ci andranno mai, che esiste un mondo del lavoro manuale che si è evoluto, che va valorizzato culturalmente e che ha la sua dignità. O, come ho detto durante una giornata formativa sull’evoluzione dell’organizzazione del lavoro in Fiat, un po’ di anni fa a una classe del Gioberti: “Voi la linea di montaggio la vedrete al massimo con gli occhi da capo del personale”.

La Città dell’industria dovrebbe fare vedere ai suoi figli che oggi un’auto si assembla stando con la schiena dritta, non alzando più le braccia o infilandosi in un cofano. Che non esiste più la fossa per montare il motore o la pinza da venticinque chili per saldare. Esiste l’automazione completa in lastratura, esiste il robot che ti aiuta nei movimenti e li allevia. Magari sarebbe utile spiegare che gli accordi Fiat e Fca si basano sull’ergonomia e la sicurezza, sulla riduzione della fatica ossia nel rendere il lavoro più dignitoso e meno pericoloso.

Sarebbe utile far vedere in un museo come si lavora in un canale alla Skf e come si lavorava cinquant’anni fa. Come (scusate se mi cito) lavoravo nel 1980 alla Fiat Avio in via Nizza a un tornio e come lavora oggi un operaio all’Avio di Rivalta su un tornio a controllo numerico automatizzato. La mia tuta al venerdì era unta e puzzava, l’operaio di oggi ce l’ha quasi immacolata. Ma anche fare capire che abbiamo un Paese fatto di artigiani, idraulici, elettricisti, meccanici e la loro evoluzione lavorativa. Sarebbe importante il contributo delle categorie produttive come la Cna. Perché quei lavori non sono dequalificanti, sono cambiati e sono anche remunerati.

In quel museo dell’evoluzione industriale che potrebbe essere anche luogo di formazione, studio dei cambiamenti organizzativi, evoluzione della sicurezza e tutela dell’ambiente in fabbrica ci andrebbero anche persone che raccontino la crescita della figura dell’operaio; crescita professionale e culturale anche tramite il sindacato.

Quanto mi manca sentire parlare sindacalisti come Pietro Marcenaro, cioè chi non ha mai dimenticato di essere stato un operaio; non per finta come il curriculum di certi sindacalisti, perché l’esperienza della fabbrica ti de-ideologizza, ti fa conoscere il mondo del lavoro nelle sue contraddizioni. Insieme alla interessante idea di esporre nel Palazzo Nervi i tesori nascosti dei nostri musei dovremmo trovare un’area industriale dismessa e creare un museo dell’industria anche per ridare dignità al lavoro manuale e luogo di confronto tra generazioni, tra scuola e mondo del lavoro.

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