IL NUOVO GOVERNO

Al governo con Draghi, zitti e mosca. Molinari detta la linea alla Lega

Il capogruppo e segretario regionale spiega a eletti e dirigenti piemontesi la svolta della Lega. Militanti e simpatizzanti invitati a non rilasciare dichiarazioni né esprimere giudizi sugli alleati". Nessun timore per lo strappo con FdI: "Perdono voti"

La svolta, rapida e inattesa, di Matteo Salvini non ha spiazzato soltanto gli avversari, ma ha rischiato di far deragliare anche qualche vagone di mezzo del treno leghista allontanatosi velocemente dalla linea sovranista e antieuropeista per dirigersi con decisione verso il Governo di Mario Draghi. Parole d’ordine e slogan da anni nell’armamentario del dirigente come dell’ultimo dei militanti, da mettere rapidamente in soffitta. Ragionamenti da rivedere da capo a piedi nel tempo che appena bastava al Capitano per cambiarsi di felpa. C’è anche questo nel racconto della Lega ai tempi di Draghi e della risposta all’appello di Sergio Mattarella. Neppur l’essere ritenuto, a ragione, l’ultimo e unico partito leninista sulla scena politica italiana preserva il fu Carroccio e già forza sovranista, da più che comprensibili inciampi e prevedibili sbandamenti. 

Racconta qualcuno dei partecipanti che la riunione telematica di ieri tra parlamentari, consiglieri regionali e capataz vari della Lega piemontese per ascoltare il verbo del segretario regionale, nonché capogruppo e quindi nella delegazione al cospetto dell’ex presidente della Bce, sarebbe il film perfetto per descrivere come si cambia per non morire tra un anno o due di guerra all’Europa, con scene degne della storia di un italiano di Alberto Sordi e personaggi cavati da un Fantozzi d’annata. Incontro cui non dar troppa risonanza, quello con Riccardo Molinari, visto che come succedeva tanti anni fa nelle sezioni del partito legittimo erede del leninismo, si trattava di spiegare la svolta. A quella della Bolognina si versarono lacrime, in quella di oggi di cui lo zoom piemontese ne è uno spaccato, si sono sprecati gli apprezzamenti e, fosse stato in un teatro, si sarebbero spellati le mani.

Contrordine compagni, con Draghi senza se e senza ma. La Le Pen se la tenga pure la Meloni, ci si riavvicina a Berlusconi e il Ppe non è una pernacchia sincopata, ma una meta quasi segnata. Epperò il rischio che qualcuno resti indietro e imbocchi la vecchia strada e non la nuova c’è, la paura che le dita scivolino improvvide sulla tastiera serpeggia. Timori fondati. Per dire, pare che il post della senatrice Marzia Casolati con cui ha comunicato urbi et orbi l’avvenuta riunione sia stato accolto con lo stesso entusiasmo di quando si scoprì che la parlamentare aveva chiesto il bonus Covid da millecinquecento euro per la sua gioielleria.

“Caro militante e simpatizzante – questo l’incipit del messaggio riservato inviato da Alessandro Benvenuto nei giorni cruciali del dopo Conte, a migliaia di iscritti – vista la delicata situazione politica, ti chiediamo di non rilasciare dichiarazioni relative alla formazione del nuovo Governo Draghi, tantomeno valutazione sulle altre componenti parlamentari. Ovviamente anche sui social”. Soprattutto sui social, vien da dire. Dice Molinari, come ha detto il Capitano, che chi meglio di Draghi per spendere bene tutti i miliardi del Recovery Fund? E Giorgia Meloni, che se ne sta fuori? Sorrisi alla rivelazione che i sondaggi riservati della Lega annunciano un calo di consenso dei Fratelli d’Italia. Vabbè, zitti e mosca per non combinare guai prima che il Governo nasca, però le giravolte quelle sì, anche se in alcuni casi vanno addirittura oltre. “Sembrava il geometra Calboni di Fantozzi”, dice di un consigliere regionale chi ne ha colto i complimentosi eccessi di approvazione nell’ascoltare la “linea”, spiegata dal segretario che molti danno in odor di ministero, mentre lui ripete l’hic manebimus optime dal suo scranno di capogruppo a Montecitorio.

Il militante ignoto era immagine cara e spesso evocata da Umberto Bossi quando Roma era ladrona e il tricolore lui lo avrebbe messo si sa bene dove. Di acqua ne è passata sotto i ponti, senza più riempire ampolle e i militanti hanno seguito, talvolta digerito, quei cambiamenti impressi da Salvini compreso l’addio al Nord nel simbolo. Sono abituati, i militanti e i via via salendo nella gerarchia leghista, ai cambiamenti. Mai rapidi e forse pure cruciali come questo, però. Quindi meglio seguire l’indicazione contenuta nel messaggio. Ovviamente riservato e da non mostrare a nessuno.    

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