SACRO & PROFANO

Cl in ambasce, Olivero silente

Il mondo ciellino, scosso dalle dimissioni di don Carrón, si interroga sul suo futuro. Lontani i tempi quando il movimento era una presenza rilevante nella società e nella politica. Si è inabissato il vescovo di Pinerolo: che notizie ha ricevuto da Roma sulla nomina a Torino?

Hanno suscitato non poco clamore le improvvise dimissioni rassegnate la settimana scorsa da don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione e primo successore del fondatore don Luigi Giussani. Convocato improvvisamente dal cardinale Kevin Joseph Farrell, camerlengo di Santa Romana Chiesa e presidente della commissione per le materie riservate, questi gli avrebbe imposto di dimettersi per consentire il «rinnovamento» di Cl e l’adeguamento alle nuove norme volute per decreto da Papa Francesco che prevedono il mandato ad tempus dei superiori dei movimenti, uno dopo l’altro entrati nel mirino dei sospetti e poi decapitati. Le dimissioni di Carron, a quanto si dice, avrebbero evitato, per il momento, il commissariamento, dato comunque per assai probabile così come era avvenuto per l’associazione laicale dei Memores Domini, colpevole, anche nella sua propaggine torinese, di aver opposto resistenza alla riforma degli statuti imposti dall’alto. In proposito, dovrebbe essersi svolta una riunione a Milano dei vertici del movimento per mettere a punto le osservazioni sullo statuto di Cl da inviare a Roma con cui i rapporti ormai sono tesissimi. Il punto è che il movimento ecclesiale fondato da don Giussani si è progressivamente allontanato dal suo carisma e si è sempre più allineato e appiattito su di un pensiero omologato, similmente a tanti movimenti e associazioni di stampo progressista i cui frutti – evidenti a tutti meno che ai loro componenti – sono la scomparsa delle vocazioni e la perdita della missionarietà. Oggi Cl appare come una brutta copia dell’Azione Cattolica degli Anni Settanta, il che è tutto dire. Sono lontani i tempi di quando il movimento era una presenza cristiana viva e rilevante nella società, nella cultura, nella politica e soprattutto nelle scuole e nelle università. Vista con sospetto dai vescovi – ma non da San Giovanni Paolo II che la riconobbe e la eresse canonicamente – e dall’establishment ecclesiastico, Cl subì in quegli anni bui, non solo l’ostracismo clericale, ma le sprangate dei collettivi di sinistra e degli autonomi.

Anche a Torino – sia pure senza i numeri e la presenza della culla milanese – Cl era attiva. Nella città egemonizzata dalla cultura marxista e azionista e da un cattocomunismo diffuso, il movimento fu immediatamente marginalizzato e tenuto in grave dispetto dalla Curia di allora. Non è un mistero per nessuno, ma testimoniato da molti, che il cardinale arcivescovo di Torino Anastasio Ballestrero – del quale è in corso il processo per il riconoscimento delle virtù eroiche, anticamera della beatificazione – si oppose in tutti i modi, quando era presidente della Cei, al riconoscimento di Cl, intervenendo persino direttamente su Wojtyla. Ciononostante anche a Torino le famiglie dei ciellini crescevano e fiorivano attorno alle roccaforti storiche delle parrocchie di San Francesco da Paola e di Santa Giulia affidate alle cure dei primi preti diocesani legati alla spiritualità del movimento, il compianto don Bernardino Reinero e soprattutto don Primo Soldi il quale, per la sua appartenenza al movimento, pagò un prezzo non lieve di isolamento nel presbiterio diocesano, egemonizzato da un  progressismo che – a differenza di oggi – sembrava l’unico orizzonte possibile. Gli universitari di Cl (Clu) erano più di 400, impegnati e brillanti, e la loro  era l’unica  voce del cattolicesimo studentesco e popolare, oggi autoridottosi al silenzio, diffuse erano le iniziative di solidarietà, così come le reti di forti amicizie.

Cosa rimane di quel mondo? A ben vedere non molto, non soltanto per la riduzione degli adepti in termini numerici ma, soprattutto, perché quel «carisma della presenza» che caratterizzava Cl si è come appannato e l’originalità ciellina sembra inabissata, quasi sparendo da scuole e università. Come notava uno dei critici del nuovo corso: «Gli attuali membri sono quasi tutti figli di ciellini e ormai la dimensione missionaria non c’è più». Sono legati a Cl i parroci di San Giuseppe Cafasso e di San Pellegrino Laziosi e aggregano ciò che è rimasto della vivacità di un tempo alcuni centri culturali che però, quanto ad attrazione, assomigliano sempre di più alle vecchie e grigie conventicole progressiste. La parrocchia di Santa Giulia è stata affidata a preti della Fraternità sacerdotale di San Carlo, alcuni preti diocesani legati a Cl ogni tanto si ritrovano – o si ritrovavano – per momenti di spiritualità, ma non hanno mai giocato, a differenza di altri, alcun ruolo in diocesi, allineandosi alla corrente maggioritaria in politica. Chi continua a rimanere sulla scena è l’immarcescibile Giampiero Leo, attore in commedia in molte parti e in molti ruoli, interscambiabile nelle maggioranze, sempre disponibile e cordiale, fautore con altri nostalgici di un partito cattolico di cui proprio nessuno – nemmeno i vescovi – sente l’esigenza, il buon Giampiero ha rappresentato – non da solo e sempre meno – l’ala di potere del movimento o di quello che ne rimane. Ci si chiede adesso se dopo le dimissioni di Carron – che comunque ha cercato di correggere alcuni evidenti limiti – Cl riuscirà a uscire dall’intimismo psicologico individuale che ha annichilito la sua presenza e saprà ritrovare quella incidenza pubblica e quella tensione missionaria che rappresentarono uno dei lasciti di don Giussani.

In seminario ha destato una certa irritazione l’articolo di Filippo Di Giacomo, vaticanista del magazine del Venerdì di Repubblica, dove, partendo dalla situazione vocazionale torinese, così si è espresso: «Su come funziona la selezione e la formazione dei futuri e scarsi candidati al sacerdozio nei seminari diocesani italiani è preferibile far scendere un velo pietoso. Nel migliore dei casi, strutturano dei leader comunitari, con una mentalità gestionale e uno sguardo puramente funzionalistico». Il fastidio appare comprensibile perché, in effetti, fotografa abbastanza bene lo stato in cui versa oggi la formazione seminariale ma anche perché l’articolo è diventato virale sulle chat dei preti piemontesi, raccogliendo non pochi consensi.

Sul fronte totovescovo è da segnalare il bassissimo profilo – anzi la quasi scomparsa dalla scena pubblica – tenuto negli ultimi tempi dal vescovo di Pinerolo, monsignor Derio Olivero, candidato favorito alla successione dell’arcivescovo Cesare Nosiglia. Delle due l’una. O ha ricevuto la notizia di essere lui il prossimo arcivescovo, oppure che non lo sarà. C’è chi ha fatto notare una analogia. Durante la lunga ed esasperante successione dell’arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, il nome subito fatto circolare fu quello di DomenicoMimmoBattaglia, vescovo di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata de’ Goti, noto per il suo impegno sociale e per le posizioni “avanzate”. Visto con estremo favore dai progressisti e con preoccupazione dai conservatori, alla fine prevalse. Particolare significativo: il suo maggior sponsor era don Luigi Ciotti

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