GIUSTIZIA

La "maledizione" di Finpiemonte, anche Vietti nei guai giudiziari

Un anatema sembra abbattersi sui presidenti della finanziaria regionale. Dopo lo scandalo che ha travolto Gatti pure il nuovo inquilino di Galleria San Federico ha le sue grane per le morti di anziani in una Rsa. Ma non sono le uniche

Ormai per tutti, negli ambienti politici, è la “maledizione di Finpiemonte”. Sulla finanziaria regionale sembra incombere da decenni un anatema che colpisce il suo presidente: le traversie giudiziarie. Per motivi diversi, e non sempre legati direttamente alla gestione della società, tutti coloro che si sono succeduti alla guida della cassaforte, hanno dovuto affrontare guai con la giustizia. E se il caso più clamoroso è quello di Fabrizio Gatti, tuttora invischiato in un processo sugli ammanchi milionari, anche l’ultimo successore ha le sue brutte gatte da pelare, anche se non dovute, va detto, con il suo attuale ruolo ma a quello di proprietario e amministratore di strutture socio-assistenziali private. Quando nel settembre scorso il posto è stato lasciato libero dal dimissionario Roberto Molina ed è iniziato a circolare il nome di Michele Vietti, molte delle notizie poi diffuse sul nuovo presidente non erano ancora note.

Già si conoscevano però le ambizioni dell’avvocato di Ala di Stura, ex sottosegretario ed ex vicepresidente del Csm, che oggi dice di essere stato “pregato in ginocchio” da Alberto Cirio ma che in realtà puntava al vertice della finanziaria regionale sin dal giorno dopo la sconfitta di Sergio Chiamparino alle elezioni. Se non fosse stato per Riccardo Molinari, che aveva chiesto quello scranno per la Lega (e per uno dei suoi), ci sarebbe arrivato prima alla presidenza di Finpiemonte e forse ci saremmo evitati l’incresciosa parentesi del dirigente bancario alessandrino e del suo vice Umberto Bocchino. Anche se questo incarico rappresenta un modesto ripiego per chi, come Vietti, ambiva da sempre a fare il ministro della Giustizia, o almeno il giudice costituzionale e si è dovuto accontentare prima di Finlombarda e adesso della finanziaria regionale piemontese (o meglio di quel che ne resta, visto che le casse sono state nel frattempo svuotate dai rimborsi pretesi da Piazza Castello anche a causa del Covid).

Una carica che, evidentemente, porta male. Vietti, infatti, risulta iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta sui decessi di numerosi anziani avvenuti, durante la prima ondata di Covid, nella Rsa “Bosco della Stella” di Rivoli, che risulta innescata da diverse denunce presentate dai congiunti delle persone tragicamente scomparse in quelle settimane della primavera 2020. Vietti sedeva all’epoca nel consiglio di amministrazione della società, poi di lì a poco venduta, ed è indagato per concorso in omicidio colposo.

In verità, questa per Vietti non è neppure l’unica rogna giudiziaria. Quella più clamorosa è legata all’inchiesta di Perugia che nel 2021 lo ha riguardato fino allo scorso anno e che è nata in particolare da due passaggi dell’interrogatorio dell’avvocato Piero Amara, personalità dalla credibilità controversa, che non è chiaro se Vietti abbia querelato o meno. Il primo passaggio riguarda la presunta intercessione del politico di provata fede democristiana, considerato da Amara quasi il “capo” della famigerata “Loggia Ungheria” (ammesso sia mai esistita), a favore del procuratore generale della Repubblica di Torino Francesco Saluzzo, secondo Amara membro lui stesso della loggia. “Attraverso questa loggia denominata Ungheria – ha dichiarato Amara – ho conosciuto Michele Vietti e tale Enrico Caratozzolo, avvocato di Messina. Fu Vietti a mandarmi Saluzzo a Roma. Saluzzo mi disse che (per la sua promozione, ndr) aveva già parlato con Cosimo Ferri ottenendo la disponibilità di Magistratura Indipendente, mentre aveva dei problemi con la componente laica del Pd e gli serviva un intervento forte di Luca Lotti. Non ho mai chiesto nulla a Saluzzo tranne che in un’occasione: andai da lui per preannunciargli la visita della compagna di Ezio Bigotti, Barbara Bonino, la quale aveva un’udienza di separazione col suo ex marito”.

Il secondo passaggio dell’interrogatorio di Amara riguarda una richiesta che l’avvocato dice di aver rivolto a Vietti nella sua qualità di presidente della sezione disciplinare del Csm. “In questa vicenda, visti i nostri rapporti, mi colpì molto che Michele Vietti mi chiese di pagare, ovvero mi chiese la cortesia di corrispondere una somma di denaro” a un avvocato del suo studio: “lui fatturò 50 mila euro che gli furono pagati. Premetto che in altri casi Vietti, in funzione di sue esigenze a me non note, mi chiese di far guadagnare denaro ad avvocati o professionisti a lui vicini e avvenne in quel periodo anche con l’avvocato Giuseppe Conte, oggi Presidente del Consiglio, a cui facemmo conferire un incarico dalla società Acquamarcia di Roma. L’incarico che fu corrisposto era di 400 mila euro a Conte e 1 milione ad Alpa. Questo l’ho saputo da Centofanti che si arrabbiò molto perché il lavoro era sostanzialmente inutile, trattandosi della rivisitazione del contenzioso della società, attività che fu svolta da due ragazze in poche ore”. L’inchiesta a carico di Vietti ad ogni modo è poi stata archiviata e tanto deve bastare, anche se l’impressione di spiacevolezza (per usare un eufemismo) rimane al di là della rilevanza penale.

Passa solo qualche mese e a metà dello scorso dicembre un’altra vicenda antipatica lambisce Vietti, quella dell’inchiesta di Report sui fratelli Calderone, detti “i re delle ambulanze”. Vietti presiede la loro società (10 mila euro al mese il compenso) quando viene messa sotto sequestro e meno di tre mesi dopo si dimette. Le sue dichiarazioni tradiscono qualche imbarazzo: “Ho rappresentato la società nei rapporti con le Istituzioni e i suoi professionisti, oltre ovviamente a svolgere le funzioni di presidente. Non ho conosciuto i fratelli Calderone e non ho ricevuto deleghe operative”. Sui fatti c’è da tempo un’inchiesta della Procura di Pavia, ma non sembra che Vietti sia stato indagato.

Nulla di tutto ciò poteva ovviamente immaginare il governatore Cirio al momento della designazione di Vietti al vertice di Finpiemonte, scelto come figura di garanzia dopo i burrascosi trascorsi della finanziaria regionale. È noto che l’accoglienza riservata a Vietti, dalla maggioranza in Regione e dai dipendenti di Galleria San Federico, non sia stata delle più calorose, anche per via della sua idea di fonderla con Finlombarda (ma pare che né Cirio né Attilio Fontana siano assolutamente d’accordo). E pure l’eccesso di protagonismo – interviste in cui si vanta di essere un dandy (mentre chi lo conosce bene, al più lo definisce un gagà di provincia) e un bon vivant – unito alla dichiarata intenzione di importare “prodotti finanziari” da Oltreticino – impraticabili dopo che Finpiemonte, per evitare la scure di Bankitalia, ha dovuto rinunciare alle funzioni di intermediazione finanziaria – prestano il fianco a più di una critica. Intanto, è uscito il bando per la selezione del direttore generale, funzione attualmente svolta “pro tempore” dall’ex responsabile finanziaria di Soris Mariateresa Buttigliengo. Rumors del Pirellone riferiscono che nei piani di Vietti ci sia di portare un manager attualmente in forza a Finlombarda sotto la Mole. Una specie di “colonizzazione”, teme più d’uno. Sarà vero?

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