Il tramonto del campo largo

Le alleanze politiche, di norma, sono credibili e percepite come tali quando non si riducono ad essere pure sommatorie. O “ammucchiate” incolori, come si suol dire oggi. E questo perché quando l’elemento che le unisce non è nient’altro che l’odio implacabile nei confronti dell’avversario/nemico il risultato è già segnato in partenza. Al riguardo, non è necessario scomodare analisti o politologi o fini commentatori per sapere che la coalizione di centro sinistra in Abruzzo era un pallottoliere senza progetto politico e, soprattutto, senza quell’unità programmatica che resta la cifra distintiva di una coalizione seria e credibile. E questo perché l’elettore sa perfettamente distinguere una coalizione politica e di governo da un cartello elettorale. E gli esempi storici, al riguardo, non mancano anche all’interno del campo del centro sinistra. Basti pensare alla profonda differenza tra il progetto politico e di governo dell’Ulivo da un lato nel 1996 e la già traballante Unione delle elezioni del 2006 dall’altro. E si trattava, comunque sia, ancora di una coalizione che era sostanzialmente unita da un comune progetto di governo.

Ma l’alleanza che si è messa in piedi in Abruzzo – e che, forse, potrebbe essere riproposta con la medesima modalità anche in altre regioni italiane – rispondeva ad una logica puramente impolitica se non addirittura apolitica. È appena il caso di ricordare che gli stessi contraenti la coalizione non potevano incrociarsi in qualche piazza per evitare spiacevoli incontri e, al contempo, non perdevano tempo per ricordare che quella coalizione non poteva assolutamente essere replicata a livello nazionale.

Certo, è abbastanza evidente che se non si vuole perseverare su questa deriva che non può che portare a sbattere contro gli scogli, si rende necessario una profonda inversione di rotta. E questo perché un centro sinistra riformista, plurale, di governo e autenticamente democratico non può contemplare al proprio interno un centro riformista e di governo con un populismo antipolitico, demagogico e trasformista. Lo dice il semplice buonsenso prima ancora di qualsiasi prospettiva politica. Non è neppure lontanamente pensabile costruire un progetto di governo riformista con forze che, a cominciare dalla politica estera e da quella economica e sociale, si trovano su sponde opposte. Ma esiste veramente qualche osservatore serio e non fazioso o settario che possa descrivere la credibilità di una coalizione unita solo dalla volontà di annientare il nemico giurato ed irriducibile? Perché solo i buontemponi possono pensare che ci troviamo alla vigilia di una “svolta autoritaria”, di una “torsione anti democratica” o, peggio ancora, ad una progressiva soppressione delle libertà democratiche e dei diritti irrinunciabili di ogni persona. Il “nuovo Cln” è una narrazione simpatica che può valere per alcuni, e sempre i soliti, talk televisivi ma nulla più. Perché un conto è la narrazione politica e mediatica – del tutto virtuale ed astratta – di alcuni settori della società italiana. Altra cosa, tutt’altra cosa, è la realtà concreta dei fatti.

Per questi semplici motivi la sconfitta della sinistra in Abruzzo è facilmente spiegabile. Com’è altrettanto semplice arrivare alla conclusione che il campo largo non è né un progetto politico e né, tantomeno, una prospettiva politica da contrapporre al centrodestra. Meno semplice, semmai, è come ricostruire un campo che resta, tuttavia, indispensabile e necessario per garantire una vera e propria democrazia dell’alternanza nel nostro paese. Su questo, forse, è bene concentrare l’attenzione e non sul fantomatico “ritorno del fascismo” o la ricerca dell’unità contro un nemico che, oggettivamente, non è alle nostre porte. E il voto dell’Abruzzo, per chi avesse ancora dei dubbi, lo ha confermato in modo persin plateale.

print_icon