POLITICA & GIUSTIZIA

"Metodo Colace", ora un'ispezione. Interrogazione al ministro Nordio

Una condotta consolidata: inchieste senza fine, indagati noti, mezzi poco ortodossi, gran clamore mediatico ma tutto si chiude in un nulla di fatto. Dopo l'ennesimo flop (assoluzione di Fassino) Scalfarotto e Borghi sollecitano un intervento. E anche al Csm ci sono fascicoli

Ormai viene chiamato “metodo Colace”. A dare il nome a quello che appare un modus operandi consolidato alla Procura di Torino – indagini a strascico e tenute aperte per anni su politici e personaggi noti della città, anche in palese violazione di leggi e norme, accompagnati dalla gran cassa mediatica e finiti in clamorosi flop – è il pm Gianfranco Colace. L’ultimo caso è di ieri quando il Tribunale di Torino ha assolto in primo grado dodici imputati e condannato a pene lievi altri cinque, il tutto nell’ambito del processo avviato nel 2015 per presunte irregolarità nella gestione del Salone del Libro di Torino: tra gli assolti eccellenti anche l’allora sindaco Piero Fassino e l’ex assessore della Regione Piemonte Antonella Parigi. Dei ventiquattro capi d’imputazione formulati dall’accusa ne sono rimasti in piedi solo tre relativi alla gestione contabile dell’evento, che hanno portato a condanne inferiori all’anno di reclusione: un esito dell’inchiesta assai più modesto di quello presentato dall’accusa.

Ma si tratta solo dell’ennesimo, per quanto eclatante episodio di una lunga serie di passi falsi e autentici fiaschi. A ripercorre il cursus honorum di Colace ci pensano Ivan Scalfarotto ed Enrico Borghi, senatori di Italia Viva, in un’interrogazione al ministro della Giustizia Carlo Nordio. L’accusa di falso elettorale rivolta a Riccardo Molinari, capogruppo Lega alla Camera dei deputati, respinta dal Tribunale di Torino con formula piena lo scorso novembre; l’inchiesta nei confronti dell’imprenditore Giulio Muttoni, intercettato 30mila volte e accusato di associazione mafiosa, in primis (per otto anni), e poi una volta archiviato quel filone, di turbativa d’asta e traffico di influenze illecite; le intercettazioni illegali effettuate per più di 500 volte (in tre anni) ai danni dell’allora senatore Stefano Esposito senza alcuna autorizzazione del Senato e in spregio dell’articolo 68 della Costituzione, prontamente stigmatizzate dalla Corte costituzionale e che hanno portato all’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di Colace da parte della procura generale della Corte di Cassazione. Ma anche le “inedite” inchieste condotte nei confronti dell’ex presidente della Regione Sergio Chiamparino e dell’ex sindaca di Torino Chiara Appendino, dove si è giunti persino a paventare un’indebita ingerenza nell’ambito della discrezionalità politica di amministratori e rappresentanti politici eletti.

In sintesi, “nel corso della sua carriera Gianfranco Colace si è distinto nelle cronache giudiziarie per diversi processi fallimentari instaurati sul suo impulso, dal grande clamore mediatico, ma da indubbia inconsistenza”. Pertanto, i due parlamentari chiedono se il Ministro “non ritenga opportuno avviare un’indagine circa l’operato della Procura di Torino per accertare l’assenza di condizionamenti e il corretto funzionamento dei relativi uffici giudiziari, tanto a garanzia dei cittadini e del principio di separazione dei poteri, quanto della corretta amministrazione della giustizia”. In attesa che anche il Csm definisca le procedure disciplinari che risultano già istruite.

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