Il nuovo imbroglio della Lega

La raccolta firme per la riorganizzazione dell'Eurozona è una iniziativa senza senso. Ma che rivela un cambio di linea politica da parte della nuova leadership

Il quesito sulla riorganizzazione dell’Eurozona, sul quale la Lega Nord avvierà nei prossimi giorni una raccolta di firme, è,  dal punto di vista giuridico, una cosa senza senso. Ma il messaggio politico che ne discende permette di fare due brevi considerazioni. La prima. Che la Lega persevera nella sua politica antiunitaria, ancorché con un certo aplomb, avendo abbandonato i toni truculenti della stagione bossiana. La seconda. Che l’Europa dei banchieri, fortemente osteggiata dal Carroccio in questi mesi per distinguersi dal governo Monti, andrebbe bene, sarebbe cosa buona e giusta per la macroregione del Nord, finalmente liberata dalla zavorra meridionale.

 

Mi spiego: nella sua verace opposizione al governo dei professori, la Lega, con in testa il suo nuovo segretario, in questi mesi ci aveva abituati ad un linguaggio piuttosto duro nei confronti delle politiche europee in tema di finanza pubblica - durante la discussione sul “Fiscal Compact”, per fare un esempio calzante, dopo il pesante intervento di Federico Bricolo contro i “banchieri” ed i “burocrati” della Ue, i senatori del Carroccio esibivano uno striscione con la scritta: “Sì all’Europa dei popoli. No all’Europa delle banche”-  ; oggi invece Maroni ci informa che nella nuova Europa delle regioni, quella da loro propugnata, dovrebbero essere ammessi solo quei “territori” (Sì, hanno detto proprio “territori”) che, nel frattempo, avrebbero “conseguito l’equilibrio delle entrate e delle spese del proprio bilancio”.

 

Lasciamo stare il discorso sull’Europa dei “territori” e delle “valli”, obiettivamente comico, che si addice molto alla tradizione supercazzolista della Lega. Ciò che colpisce realmente in questa nuova sortita del Carroccio è il fatto che la soggezione al  principio rigorista, quello dell’obbligo del pareggio di bilancio, che per l’Italia rappresentava una cessione di sovranità alla burocrazia europea – “quando non riusciremo ad onorare questo impegno non potremo più tirarci indietro ma dovremo consegnare le chiavi di casa nostra alle varie autorità europee”, tuonava qualche mese addietro Giancarlo Dozzo a proposito del fiscal compact - , per il Nord potrebbe costituire tranquillamente il prerequisito per stare nella nuova Europa.

 

Bossi “se n’è ghiuto”, verrebbe da dire parafrasando Palmiro Togliatti, ma soli non ci ha lasciati; la commedia paradossale del leghismo prosegue alla perfezione anche con i nuovi timonieri. Che, quantunque non abbiano il carisma del vecchio capo, di questi hanno ereditato l’attitudine a prendere per i fondelli gli elettori. Il guaio, come ho avuto modo di spiegare in altre sedi, è che nonostante il leghismo sia stato ed è questo, di danni ne ha provocato più di quanto si possa immaginare.

 

C’è stato un rapporto inversamente proporzionale in questi anni tra la qualità e la coerenza delle proposte politiche del Carroccio e la sua capacità di minare il sentimento unitario del paese e di minacciare la credibilità delle istituzioni repubblicane.

Ieri nessuno, dal più alto colle in giù, se n’è occupato seriemente: per la destra la Lega era l’alleato necessario, imprescindibile; per una parte del centrosinistra, sebbene a fasi alterne, l’interlocutore da usare tatticamente nei giochi di palazzo. Oggi, con la nuova leadership in doppiopetto, c’è da giurare che sarà ancora peggio.

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