La Compagnia si allarga a Genova
11:13 Giovedì 08 Gennaio 2015 1Matrimonio in vista tra la Fondazione San Paolo e la ligure Carige, da tempo in brutte acque. Il "salvataggio", studiato nei dettagli dal presidente Remmert, consentirà all'istituzione torinese di allargare il proprio raggio d'azione. Tavoli tecnici al lavoro
C’è il nome della Compagnia di San Paolo sulla ciambella di salvataggio cui Fondazione Carige potrà aggrapparsi per uscire dal mare in tempesta in cui è finita e resta da tempo. Quelli che stanno avvenendo all’ombra della Lanterna sono contatti e incontri bilaterali nella massima discrezione e riservatezza, ma destinati a concretizzarsi a breve in una fusione delle due Fondazioni, o più probabilmente in una fusione per incorporazione di quella ligure nella potente Compagnia piemontese. Fonti liguri qualificate danno per certo un recentissimo incontro ai vertici, i due presidenti Luca Remmert e Paolo Momigliano avrebbero già affrontato, vis-à-vis, il percorso che nel giro di alcuni mesi dovrebbe portare la tormentata istituzione ligure a superare i non pochi problemi che la funestano da tempo, proprio grazie al nuovo approdo sui lidi assai più solidi sotto la Mole.
A preparare il terreno ci sarebbero stati, prima delle vacanze natalizie, altri incontri, tra cui quello tra i due segretari generali, il ligure Onofrio Contu e il suo omologo piemontese Piero Gastaldo. Un percorso a tappe forzate, insomma, quello che rappresenterebbe per la Fondazione Carige la via d’uscita da una situazione tanto complicata quanto pesante da sostenere, con precise indicazioni più volte arrivate dal Mef e strascichi altrettanto gravosi per quanto accaduto alla banca conferitaria travolta nei mesi passati dagli scandali. Ancora l’estate scorsa Momigliano aveva annunciato la necessità di una svolta spiegando che “Il Mef ci ha autorizzato a scendere nelle quote in banca Carige fino al 12% per ridurre l’indebitamento. Quindi la cessione di un ulteriore quota è necessaria”. Per il presidente della fondazione genovese il problema era dato dai tempi: “Non vogliamo vendere precipitosamente le nostre quote e abbiamo la necessità di valutare a chi venderle”, ma aveva confermato come “a banca Carige serve un azionariato più stabile possibilmente con una governance con il contributo della Fondazione, con un socio istituzionale o industriale. E’ uno scenario che vedremo nei prossimi mesi. Non abbiamo deciso i tempi né la quantità di azioni da vendere”.
I mesi nel frattempo sono passati e i contatti avviati con la Compagnia di San Paolo si sono intensificati arrivando a una fase che sarebbe di poco precedente alle prime firme di un accordo, dato ormai per imminente. Le carte sul tavolo raccontano di un debito di circa cento milioni della Fondazione Carige, ma anche di una struttura elefantiaca, quasi una trentina di membri nel solo consiglio di indirizzo, peraltro assai lautamente retribuiti, e di eredità pesanti tra cui alcune assunzioni fatte dall’ex presidente Flavio Repetto di cui a Genova si raccontano i buoni uffici per garantire un posto al suo autista e alla sua segretaria. E poi c’è pure l’intricata vicenda del Bambino Gesù su cui indaga la Guardai di Finanza: quel “regalo" che la Fondazione Carige, regnante Repetto, nel 2011 avrebbe fatto allo Ior, riprendendosi cento milioni di obbligazioni senza pretendere il pagamento, stimato tra i 7 e i 9 milioni, dei diritti d’opzione. Tutto avrebbe avuto origine due anni prima, quando mentre si stava pianificando in gran segreto l’operazione di rafforzamento di Carige attraverso quella che sarà definita “santa alleanza” con lo Ior e con la Cassa di Risparmio di Torino, la Generale Ristorazione, società di ristorazione collettiva di Repetto, aveva ottenuto un grosso appalto per l’installazione di distributori automatici nell’ospedale pediatrico romano.
Un passato spesso non cristallino, insomma, dal quale Fondazione Carige dopo il non facile cambio di governance ha cercato di lasciarsi alle spalle. Davanti, tuttavia, ha ancora non pochi problemi, primo tra tutti la riduzione della sua partecipazione all’omonima banca, così come caldamente “consigliato” dal Mef e dalla stessa situazione debitoria. Un problema la cui soluzione deve, però, passare per una vendita che non si ripieghi in svendita. Una maggiore forza contrattuale è quel che serve alla Fondazione ligure. E la soluzione per ottenerla, superando anche altre difficoltà, sarebbe stata individuata proprio nel finire nell’accogliente e rassicurante pancia della Compagnia di San Paolo.