INTERVISTA

"Piemonte sotto attacco, serve un fronte ampio"

Non dipende solo dal differente colore politico, dà fastidio la nostra alterità al modello culturale incarnato dal governo gialloverde. Costruire uno schieramento riformista ed europeista per lo sviluppo. Borghi (Pd) spiega cosa deve fare il centrosinistra

“Il Piemonte è sotto attacco dal Governo. Agatha Christie diceva che tre indizi fanno una prova e qui gli indizi sono già più di tre. Colpire la nostra Regione ha un significato chiaro: se si sta allineati si ottiene, altrimenti si viene bastonati”. Gli ultimi segnali sono recentissimi: l’impugnazione da parte di Palazzo Chigi di un articolo della variazione di Bilancio a favore delle imprese (in ballo ci sono 200 milioni di Finpiemonte destinati al tessuto produttivo), la contestazione della norma sulla caccia, un taglio di dieci milioni al fondo per la manutenzione delle case popolari. «E non saranno gli ultimi. Contro il Piemonte ormai è partita l’operazione di accerchiamento».

Enrico Borghi, parlamentare del Pd alla sua seconda legislatura, segretario d’Aula a Montecitorio, descrive e commenta l’attacco politico combattuto con armi istituzionali dalla maggioranza giallo-verde contro il Piemonte. Lo fa dal profondo Nord della regione, la sua Val D’Ossola dove sta preparando l’incontro, questo pomeriggio a Villadossola, con Maria Elena Boschi. Sui manifesti con la foto dell’ex ministra delle riforme hanno scritto: “Democratici nell’epoca del populismo. La deriva del Governo Conte”.

Una deriva i cui primi effetti colpiscono il Piemonte più di altre regioni. Borghi, è solo, si fa per dire, perché è l’ultima ancora governata dal centrosinistra o c’è anche dell’altro?
«Sicuramente per quello, ma non solo. Sergio Chiamparino, giustamente, ha alzato la testa e la voce sulla Tav e la reazione della maggioranza che governa il Paese non si è fatta attendere. Credo poi che tra i motivi di questo attacco ci sia una sorta di estraneità del Piemonte rispetto alla cultura della Lega di Matteo Salvini e dei Cinquestelle. Ci troviamo a dover fare i conti con un governo che mette insieme due populismi: uno di destra che immagina nel ritorno allo stato-nazione la risposta alla crisi della globalizzazione e uno di sinistra che immagina di riportarci in una dinamica di stato assistenziale, di welfare novecentesco per rispondere alla crisi del modello sociale. Tutti e due sono antropologicamente lontani dalla cultura piemontese della società».

Però il voto ha premiato due anni fa a Torino i grillini e lo scorso marzo in pressochè tutta la regione il centrodestra, punendo sempre il PdLa differenza culturale si annulla in cabina elettorale?
«Quello del consenso perduto, della distanza tra una grossa parte dell’elettorato e il nostro partito è “il” problema, che dobbiamo affrontare e non possiamo eludere, assolutamente. Però sull’atteggiamento del Governo nei confronti del Piemonte mi faccia dire una cosa».

Prego.
«Segnalo l’assoluta freddezza, anzi il silenzio imbarazzante di tutto l’esecutivo sulla vicenda post-Marchionne e il futuro della Fiat».

Come se lo spiega?
«Tutto ciò è fuori dalla loro cultura è visto con sospetto, secondo una logica conflittuale molto primitiva. La Lega ai tempi di Bossi liquidava sprezzantemente Agnelli appellandolo Giuanin Lamiera, e Salvini ha attaccato più volte Marchionne. Per non dire dei Cinquestelle e del loro approccio alle questioni del mondo industriale. C’è in entrambe le forze una sorta di pensiero antiindustriale che immagina il futuro del Paese nell’esaltazione delle partite iva o del pauperismo e della decrescita felice».

Premesso che non è il diffuso tormentone in voga tra i grillini, ma una semplice domanda: e il Pd?
«Il Pd si deve rivolgere a quella parte di società che a mio avviso è molto ampia e va decisamente oltre i confini del partito e che non si rispecchia nel modello culturale che viene portato avanti da questa maggioranza di governo. E che in Piemonte, a mio avviso, è maggioritaria».

Non per girare il coltello nella piaga, ma gli elettori non hanno espresso questo. Dovete ripensare la proposta per i piemontesi?
«Assolutamente sì. Io non sto parlando di calcoli politici o di sommatorie degli stati maggiori dei partiti, parlo di una dinamica di carattere sociale verso la quale bisogna rivolgersi ed eventualmente costruire delle forme politiche che siano in grado di rispecchiare in maniera identitaria queste condizioni sociali. Bisogna riuscire a costruire un’offerta politica che non metta davanti a sé l’autoperpetuazione delle sigle, ma ponga invece il tema del modello culturale da cui discende l’offerta politica. Il Pd deve parlare agli elettori, non dobbiamo avvitarci in un gioco di società per cui ci sono alleanze, sommatorie».

Veramente siete già alle candidature per la presidenza della Regione, non è che correte troppo?
«Prima delle candidature, ma prima ancora delle alleanze devono essere chiari i temi. E i confini sono quelli dei temi. Se siamo, come io ritengo, in una fase di shock politico per cui sta nascendo una nuova fase sovranista alla quale bisogna contrapporre una fase riformista ed europeista bisogna che tutti coloro i quali si rispecchiano in questa, trovino un campo comune».

Sta pensando a Forza Italia, con cui tra l’altro su un tema cruciale come quello della Tav avete una posizione coincidente, opposta a quella del M5s e decisamente più netta rispetto a quella della Lega.
«Forza Italia se continua con questo atteggiamento mica ci arriva alle europee. Ma questo è un problema loro, non nostro. A me interessa posizionare il Pd come il tondino di ferro attorno al quale costruire l’edificio dell’alternativa al sovranismo. Non esiste alternativa al sovranismo se non partendo da noi, ma noi da soli non bastiamo. Bisogna avere due consapevolezze: senza di noi non si va da nessuna parte, ma noi non siamo autosufficienti. Su questo bisogna lavorare. Gli altri decideranno cosa vorranno fare».

Insomma, l’ipotesi di ragionare con Forza Italia o con una parte di essa per il futuro governo della Regione c’è?
«Premessa la chiarezza di progetto e contenuti, se poi Forza Italia ritiene maturo e definitivamente compiuto il suo percorso con la Lega lo dica e a quel punto si faranno delle valutazioni se ci saranno le condizioni per poterle fare. Penso che loro abbiano un problema molto serio: più stanno nel mezzo a prendere sberle e più alla fine pagheranno il prezzo. Bisogna guardare anche all’Europa dove c’è il tentativo di disarticolare lo schema conservatori-riformisti. Questo schema in Italia passa attraverso la Lega e contempla la fine del Ppe. L’italia è il ponte avanzato per questa operazione. Se Forza Italia non lo comprende rischia di essere sacrificata come l’agnello durante il banchetto. E intanto il mio amico Valter Zanetta si metterà l’orbace e canterà viva il nazionalismo».

Dica la verità, lei ce l’ha con l’ex senatore Zanetta perché ha promosso il referendum per staccare il Verbano-Cusio-Ossola, la sua provincia, dal Piemonte e annetterlo alla Lombardia?
«Perché è un’idea sua? Suvvia, quello è un tentativo del leghismo lombardo di destrutturare dall’interno il Piemonte. Questa roba parte da ambienti legati alla Fondazione Cariplo, a Giancarlo Giorgetti. Non è che Zanetta, la cui figlia è nella Fondazione Cariplo, è passato alla Lega mentre andava a raccogliere le margherite».

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