Dalla politica al politichese dei politici

L’eclissi della politica, della democrazia, della sovranità, della teoria politica, della Costituzione e continuare sarebbe tautologico, è oltremodo evidente che tanta intellighenzia occidentale riflette e ragiona su crisi e difficoltà del vecchio mondo.

Un pomeriggio del 2017, attraversando, con amici di Società Libera, piazza del Pantheon, ci imbattemmo nel residuo di una manifestazione di docenti che, in nutriti capannelli, ne commentavano la buona riuscita. In particolare, fummo attratti da un gruppo entusiasta di un collega napoletano che, magistralmente, li arringava, subissato da applausi e cori quando, sgolandosi, testualmente sostenne: “Faccio il professore e guadagno 1690 euro, questi, indicando con il braccio teso il Senato, ne prendono 15.000, dobbiamo gridarlo che non ci stiamo, questi sarebbero ben pagati con 2.700 euro,1000 più di un professore”.

Indubbiamente, una lezione sul sentire popolare e altrettanto sulla considerazione della politica. Dell’indennità ai deputati se ne occupava già Aristotile, problema che interessava le città elleniche, in Italia se ne è dibattuto ancora nel primo decennio del secolo scorso: fu introdotta, infatti, nel 1912.

Il problema dell’indennità parlamentare, di fatto si trascina ancora oggi, non vissuto in quanto tale ma come un ingrediente di una pessima considerazione della politica soggetta ad un disordine concettuale che induce ad una falsa simmetria tra politica e politici.

E allora parafrasiamo Max Weber avviando considerazioni politiche sulla politica.

La politica percepita, valutata, seguita o respinta in quanto incarna l’uomo politico, difficilmente, nella contemporaneità, è portatrice di un proprio autonomo significato. I vettori che realizzano le scelte, le decisioni politiche, cioè le persone che vivono per la politica, e nel nostro tempo, ancor più di politica, non andrebbero sbrigativamente assimilati alla politica intesa come visione e direzione di un cammino utile ad una comunità quindi, ancor più, ad una nazione.

La politica è visione, è futuro, è concezione del mondo, qualunque essa sia, che risponda ad un esistenziale perché, che incorpori una Weltanschauung che ritiene all’interno i suoi fondamentali significati, che sia interprete di un’idea portante, insomma, che abbia come stella cometa una parolaccia: un’Ideologia. E sì, ascoltando politici di ogni chiesa e schieramento si avverte di essere in presenza di una parola offensiva: “Non facciamo ideologia, bisogna essere pragmatici, costruttivi”. In sostanza, siamo in larga misura partecipi alla bancarotta delle ideologie e alla venerazione della politica del fare. 

Fare, sicuramente indica movimento, azione ma in nome di cosa, verso che cosa, quale direzione, in sintonia con quale visione del futuro, quale l’albero maestro o la pietra d’angolo, per dirla con linguaggio evangelico, sorreggeranno l’opera avviandoci al futuro?

Oscurata la politica, affievolite le sue fondamenta, il fare può intraprendere svariati cammini, ad esempio, quando la burocrazia amministrativa la ritroviamo partner della politica.

Dostoevskij intorno alla metà dell’800 rifletteva sugli organismi statali infetti, gli stessi potentati ministeriali, e non solo, ancora oggi operanti, e Weber dopo pochi decenni scriveva: “Alla conoscenza oggettiva della burocrazia, e al sui sapere di servizio, è superiore soltanto l’esperienza degli interessi economici privati nel campo della economia”.

Riflettendo sulle condizioni del Paese, crediamo che la società nel suo complesso abbia scarsa percezione del possente nodo rappresentato dall’alta burocrazia, altrimenti individuata come i grand commis. Pensiamo a quella dell’Inps, dell’Agenzia delle Entrate, della Cassa Depositi e Prestiti, delle Dogane, delle Poste, della Rai, di fatto, casta manageriale che risponde al sistema partitico, quanto mai lontana e distante da qualsivoglia cultura politica.

Due situazioni: i Governi si adoperano per intessere con i cittadini rapporti cordiali e amicali sul fronte della riscossione delle imposte, lasciando ai funzionari di rango dell’Agenzia il compito di complicare, intricando sulle stesse leggi dello Stato, con quisquiglie, vere impurità, per ritardare rimborsi dovuti o giustificare stravaganti interventi su denunce dei redditi. Il tutto per realizzare introiti aggiuntivi, il più delle volte solo annuali, al fine di contribuire ad una efficiente immagine governativa.

La seconda: l’Inps da qualche decennio non è in grado di erogare con trasparenza e semplicità l’ammontare pensionistico, gli importi mutano da mese a mese, a volte con detrazioni dovute ad elargizioni precedenti non corrette. Si alternano i vertici di vari colori e provenienze, certi dei loro emolumenti, 150mila euro lordi per il presidente, 181mila per il direttore, solo per evidenziare le diseguaglianze di trattamento, espressione tanto usata e cara ai politici, riservato in questo bailamme ai nostri indifesi vecchi.

Riconoscendoci nell’asserzione di Carl Schmitt, per cui gli Stati moderni, sono Stato totale dove tutto è politico che comprende e pervade, consideriamo riduttiva la definizione di politica come Arte di governare o come tecnica di governo, in sintonia, invece, con l’ateniese Pericle nell’individuarla come capacità di coinvolgimento nell’essere società.

Di conseguenza, se questa è la missione e il fine ultimo della politica, se tutto è politico, i vertici politici dovrebbero essere una sorta di Deus ex machina? Qui si innesta una difficoltà del nostro pensiero, un’aporia.

Se sul pianeta in 25 secoli la speculazione filosofica-politica ha raggiunto uno straordinario stato di consapevolezza, all’inverso dobbiamo riconoscere che, nella contemporaneità, decadimento e crisi avviluppano lo spessore del personale politico e delle loro strutture di riferimento, non prenderne atto significherebbe non avvertire la realtà.

E qui incontriamo ancora Weber quando disegna, nella Politica come professione, l’importanza o meglio la necessità, che l’azione politica faccia propria l’etica dei principi e della responsabilità.

La prima intende il perseguimento di convinzioni assolute, l’altra che l’agire politico badi sempre, ex ante, alle proprie conseguenze.

Su questi caposaldi introduce anche il concetto di vocazione, quindi della politica come vocazione e quello di carisma inteso come dono naturale, intriso di carattere, volontà, visioni, empatia che si concretizza nella struttura di un leader.

Andando verso lo specifico, crediamo di poter osservare che le formazioni politiche contemporanee, anche se avviate con larghe visioni sul futuro o con capi, a volte presunti, tra il carismatico e il demagogico, con grande facilità scemano nella quotidianità della politica politicante, nella banalità del non pensiero e della politica negativa consistente nello stigmatizzare e demolire, con demagogia elettoralistica, intuizioni e attività dell’avversario in un’asfissiante coazione a ripetere, in questo, quotidianamente supportati dal sistema informativo.

Soppiantato quasi del tutto il senso dell’onore e della dignità nel mondo politico trovano ampia cittadinanza reputazione e tornaconto per la propria parte elettorale. Quanta lontananza, non solo temporale con il Diderot, della metà del ‘700, quando scriveva: “Che i popoli illuminati tutti insieme vendichino infine l’onore della specie umana”.

Inevitabilmente, l’aver pensato sulla politica, ci induce a ciò che è da pensarsi sul nostro sistema politico. Immenso, smisurato, un politico per ogni campanile e forse un partito per ogni provincia, il Maggio Francese avrebbe sentenziato: “L’immaginazione al potere”, noi con un modesto appeal: Il piacere politico nel bosco della complessità.

Fermo restando la legittimità di tutti i gruppi politici ad essere in Parlamento in considerazione del voto popolare, riteniamo che sia pertinente avviare riflessioni almeno sulla ridondanza partitica.

Nulla da eccepire, e non vuole essere un giudizio di valore, su Fratelli d’Italia, Lega, Partito Democratico, Sinistra Italiana, occupano un definito comprensibile spazio, hanno un retroterra ideologico, politico, un ruolo e una strategia, una storia e una tradizione.

Non gli altri, non certamente Forza Italia e la sua inconsistente appendice di Noi Moderati, per la Casa madre la sua funzione originaria è scomparsa con il fondatore. Oggi con il tenero Tajani, privo di una forma mentis strategica, ha ritrovato una sua utilità come lunga mano degli eredi Berlusconi che, in previsione della prossima legislatura, faranno svolgere all’ingenuo Ministro degli Esteri un ruolo di guastatore verso gli attuali alleati in vista di una diversa compagine governativa. Un ruolo politico? Certamente sì, ma nell’interesse privato delle aziende di due equivoci personaggi.

I 5 Stelle svolgono da collettore di una parte di elettorato, tutto politico e nulla politico, ad immagine e somiglianza dell’avventuroso loro leader. Dell’inutilità dei Verdi ne fa fede il tracollo dei loro omologhi europei che avevano portentose aspettative verso la retorica del nulla. A proposito del nulla, non tralasciamo i due venditori responsabili di questa merce, quello di Azione, personaggio in buona fede, bonario ed innocuo, il secondo di Italia Viva, vero azzeccagarbugli, venditore di una merce a suo parere di alto livello, che ha difficoltà a comprendere che al di là del 2% nessuno è disposto ad acquistarla.

Il Paese non cambierà, lo scrivevamo nel 2014, fin quando gli uomini e le donne, se intelligentemente liberi, non avvertiranno che il fare politica presuppone interiorizzare le ragioni stesse della politica.

Cambierà, quando avremo ospedali e carceri, tribunali e scuole, trasporti ed informazione concepiti per le persone e non per perpetuare uno stanco sistema. Cambierà, quando gravi malattie e problematiche vecchiaie, handicap e tossicodipendenze non saranno solo un problema per il nucleo familiare o demandate a volontariati veri o presunti.

Cambierà, quando il sistema fiscale, oltre che per il suo livello di tassazione, ma anche per le sue modalità d’intervento, non sarà più cosa lontana dal cittadino e un direttore dell’Agenzia delle Entrate non potrà dichiarare “non faremo prigionieri”, considerando i contribuenti avversari da sopprimere. Cambierà, quando le libertà individuali e la libertà d’impresa non avranno come pesante interfaccia crimine organizzato e corruzione. Cambierà, quando il risparmio sarà considerato reddito finanziario e non rendita da spolpare per il fabbisogno di uno Stato Leviatano, presentato come necessità per la riduzione delle disuguaglianze. Cambierà, quando il sistema partitico, tralasciando retorica e semplificazioni, sarà in grado di parlarci del futuro e di una possibile, non troppo infelice, coesistenza della comunità.

“I fatti devono provare la bontà delle parole e devono andare d’accordo, in modo che l’uomo in ogni momento sia uguale e coerente a sé stesso”, lo ricordava Seneca nella ventesima lettera a Lucillo. E, al di là della ridondanza, ma non è affare né farina della contemporaneità, l’insegnamento di Gaetano Mosca: “La politica intesa nel suo senso più elevato, equivale all’arte di prevenire e prevedere le malattie della società”. Almeno, si tenga in gran conto la Storia senza sporcarla anche con le più interessate e fantasiose interpretazioni.

*Vincenzo Olita, direttore Società Libera

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