PRESENTE & FUTURO

Sviluppo e logistica, "occorre fare sistema"

Il Piemonte non è solo Torino e ogni area ha la propria vocazione e i suoi naturali interlocutori. Le differenze vanno considerate opportunità di crescita e diversificazione. La ricetta di Cabodi per recuperare il ritardo rispetto alle altre regioni

Il primo a comprendere le potenzialità del Piemonte nei traffici delle merci nel dopoguerra e guardare alla regione che stava per lui oltre l’Appennino come un territorio dalle molte potenzialità e dalle altrettante differenze fu un genovese. Giacomo Costa, armatore, pensa, inventa e costruisce nella campagna di Tortona, a Rivalta Scriva, quella che lui chiamerà la Città delle merci. “Occorre sgomberare il porto dalle operazioni di smistamento delle merci”, spiegava alla fine degli anni Cinquanta.

L’11 novembre del 1966 in quella banchina asciutta del porto di Genova viene emessa la prima bolletta di scarico merci. Più di mezzo secolo dopo la necessità manifestata dal lungimirante imprenditore è ancora più attuale e stringente: per consentire il raddoppio del numero di container trattati sotto la Lanterna previsti con la nuova via della seta, servono spazi. Ma è quella visione di un Piemonte differenziato al suo interno che resta altrettanto attuale e dalla quale lo sviluppo economico di una regione che segna il passo rispetto alle altre del Nord deve non può prescindere: “Non si può pensare di equiparare tutto il Piemonte a Torino, la nostra regione ha notevoli diversità al suo interno, che devono essere considerate potenzialità quali in effetti sono. Questo vale per tutti i settori dell’economia e a maggior ragione per la logistica, comparto in cui siamo indietro rispetto non solo alla Lombardia, ma anche al Veneto e all’Emilia-Romagna”.

Cristiana Cabodi, torinese, architetto, ricercatore e da anni tra i curatori del Rapporto Rota, si occupa di logistica dagli anni Novanta, nel ’96 partecipa al grande progetto sulle reti infrastrutturali che coinvolge tutte le Università italiane, nel 2008 contribuisce alla realizzazione del Piano territoriale regionale.

Quindi, architetto, per far muovere più merci in Piemonte bisogna guardarlo togliendosi gli occhiali torinesi. È così?
“Sì, il Piemonte è differenziato e da questo bisogna partire. Nel piano territoriale regionale alla cui realizzazione avevo partecipato con Beppe De Matteis scrivendo il quadro di riferimento strutturale l’idea di fondo era quella di cercare le specificità di ogni territorio”.

Sono passati più di dieci anni da quel piano.
“Ma il concetto resta attuale. Se l’Alessandrino si può collocare come retroporto genovese, Torino potrebbe recuperare sul fronte produttivo, occupazionale e dell’innovazione collocandosi come vertical market della logistica, ovvero diventare il nodo specializzato nella logistica dell’auto. In questo modo si potrebbero recuperare moltissime risorse e competenze, in non pochi casi espulse dal mondo produttivo. Sarebbe anche un modo per prepararsi all’arrivo della Tav creando un sistema a sostegno di questa vocazione di vertical market”.

Adesso Torino ha l’interporto di Orbassano. È utilizzato al meglio?
“Orbassano è uno dei punti deboli: un grande nodo potenzialmente importantissimo che però ha i binari che stanno fuori del suo perimetro. Nell’ultimo rapporto Rota è ben evidenziato come questa struttura abbia il 90 per cento del suo traffico su gomma. A fianco di Orbassano c’è il polo agroalimentare, grande progetto pensato negli anni Ottanta e Novanta. Le due strutture, però, sono come separati in casa. Invece c’è un’enorme potenzialità da giocare con il porto di Savona Vado, acquisito al 4% dai cinesi che pensano di potenziarlo come piattaforma per l’agroalimentare, peraltro già attiva e anch’essa pressochè satura. Se consideriamo che la linea ferroviaria attraversa il Cuneese, le potenzialità si espandono anche in quell’area. Certo servono investimenti su una ferrovia vecchia e inadeguata”.

Il porto di Genova cerca spazi, Uirnet la società pubblica che si occupa della piattaforma logistica nazionale ha varato un piano per almeno tre buffer, piattaforme per la movimentazione dei container del porto di Genova da realizzare in Piemonte. È un’occasione da cogliere?
“Assolutamente sì. L’Alessandrino è il retroporto naturale di Genova. Ai tempi della giunta di Mercedes Bresso si parlò dell’ipotesi di un grande retroporto in quell’area della regione”.

Non si è fatto e nel frattempo il Piemonte è rimasto indietro.
“E pensare che negli anni Novanta era in posizione assolutamente privilegiata nel Nord Italia: aveva due assi, quello Genova-Rotterdam e quello dalla Penisola Iberica verso i Balcani”.

Anche in questo caso solo scenari, la realtà purtroppo è un’altra. Perché?
“Quei progetti hanno avuto enormi ritardi. E poi la logistica piemontese ha perso appeal. Lo stesso nodo di Novara ha avuto difficoltà. Torino ancora peggio: qui la logistica è rimasta di bassissimo livello, poco oltre il trasporto, non certo evoluta e diversificata come altrove. Insomma si è perso il treno”.

Qualcuno ha mosso critiche, dal Sud della regione, a una politica dell’attuale amministrazione più proiettata su Novara che non su Alessandria, per citare una delle polemiche. Hanno ragione a lamentarsi?
“Probabilmente è stata una scelta dettata dalla necessità e dalle condizioni: Novara in termini di intermodalità ha avuto grandissimi investimenti ed è strettamente collegata all’area milanese che a livello italiano è l’unica in grado di competere con aree logistiche continentali”.

Considerare il Piemonte non come Torino-centrico, non come un’area omogenea, ma agire in base alle differenze. Basta questo o servirebbe un nuovo piano per l’economia che passa per le merci?
“Credo di no. Ci sono già gli strumenti, basta aggiornarli e, soprattutto, proiettarli in una visione. Non pensare al qui e ora, ma per il domani e anche per il dopodomani. Non c’è più tempo da perdere, non si può aspettare ancora altri cinque anni per vedere cosa succede. Dopo aver gestito un periodo di crisi e badato ai conti, adesso è arrivato il momento di aprire l’orizzonte. Gli altri territori marciano e non aspettano certo il Piemonte”.

Secondo lei il mondo dell’impresa è pronto a questa sfida?
“Credo di sì, gli imprenditori sono i primi a rendersi conto della necessità”.

E se, come al porto di Savona, arrivassero investimenti stranieri?
“Perché no? Quando arrivano vuol dire che la scelta è buona. Importante per non farsi colonizzare è avere una visione definita. Non si può delegare il futuro di un territorio”.

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