Il "solito" degrado

Degrado, una parola il cui significato è “deterioramento sul piano dell’integrità e dell’efficienza”, oppure “situazione di abbandono, di incuria. Decadimento morale e culturale”. Il concetto di deterioramento fisico è oggettivo, poiché facilmente riscontrabile. Complesso invece risulta verificare il decadimento morale e culturale: elementi che si confrontano con un periodo storico dato, con valori e concetti etici oppure con percezioni caratterizzanti la comunità di appartenenza.

Da qualche tempo, ogni qualvolta accade di inciamparsi nel vocabolo “degrado” viene parallelamente alla luce un aspetto avulso dal significato del sostantivo stesso, ossia “la povertà”. Alcuni movimenti neonati e anti solidali, vicini alle posizioni neofasciste, considerano infatti la miseria come una sorta di incuria portatrice di minor integrità ed efficienza.

La sofferenza umana, la fame, i patimenti, passano in secondo piano innanzi a una priorità irrinunciabile: la lotta alla trascuratezza e di conseguenza al deprezzamento di immobili residenziali e locali commerciali siti nelle cosiddette aree di degrado.

Nella nostra Torino le manifestazioni di piazza raramente sono convocate per denunciare la povertà, o per combattere l’esclusione sociale di parte della cittadinanza e vincere la denutrizione. Spesso chi sfila per il centro città non vuole migliorare la condizione umana e ampliare il numero dei beneficiari di diritti assoluti, ma desidera solamente cancellare quel senso di fratellanza universale che dovrebbe accompagnare tutti noi.

I comitati sorti recentemente hanno il solo obiettivo di annientare le famiglie nomadi che provano a vivere dignitosamente (e con fatica) nei loro camper posteggiati vicino ai turet e ai giardini pubblici (situazioni insostenibili quanto precarie nel lungo periodo anche nei casi in cui, per fortuna, intervengano volontari e cittadini illuminati), azzerare i clochard e tutti coloro che dormono usando quale giaciglio strade e portici aulici. Lo slogan con cui si chiamano i torinesi a raccolta sembra essere in sostanza sempre lo stesso: “Spostiamo il problema, degrado e sporcizia, laddove non ci disturba” evitando così d affrontare il problema reale posto alla radice del disagio contestato tra grida e rabbia.

La scorsa domenica il porticato di Palazzo Carignano, lato piazza Carlo Alberto, si presentava ai viandanti afflitto da una situazione di oggettivo “disordine”: l’integrità della facciata monumentale dell’antica sede parlamentare italiana era avvilita dalla presenza di due senza tetto e dalle loro coperte gettate a terra. Uno sguardo più attento avrebbe permesso di notare come il vero “degrado” di quell’area fosse da focalizzare sulle condizioni di abbandono in cui versava uno dei due, oramai ridotto a uno scheletro ricoperto da un sottilissimo strato di pelle nonché in grande difficoltà addirittura nel reggersi in piedi.

Quell’uomo in particolare andava aiutato, soccorso. L’integrità spezzata, fonte di degrado, risiede in un welfare a volte distratto, associato a un presidio del territorio affidato alla repressione poliziesca anziché a misure di stampo sociale. Situazione complessa che non esclude comunque la decadenza di cui conseguentemente è vittima il luogo storico per eccellenza: il museo del Risorgimento (con buona comprensione verso alcune ragioni del comitato “PuliAMO Torino”).

In sintesi i valori economici abbattono quelli solidali, sostenendo soluzioni simili a cure palliative tramite crudeli spostamenti di persone e famiglie, sovente ammucchiate come le foglie morte autunnali. Senza alcun dubbio non è bello vedere persone bivaccare sul selciato del centro storico, ma è ancor più triste constatare l’assenza oramai cronica da tempo di strutture adeguate ad affrontare l’emergenza povertà in corso.

Negli anni dell’occupazione napoleonica di Torino coloro che passeggiavano per le vie nobili della città erano abituati a scavalcare corpi a terra e al contempo evitare giovani questuanti e ladruncoli, figli di quei piemontesi in fuga dalle campagne in seguito a carestie e assenza di raccolti. L’Imperatore francese affrontò la penosa situazione dei senza tetto (i cosiddetti “Poveri vergognosi”) in termini sociali e di una limitata repressione riservata solo a chi viveva di crimini e truffe.

Qualche decennio dopo, nel post Restaurazione, il deputato subalpino Lorenzo Valerio (che ho già citato in altra occasione) sfidò gli “ignorantisti” clericali (coloro che patrocinavano l’ignoranza dei poveri in modo da controllarli e reprimerli meglio) tramite l’istituzione degli “scaldatoi pubblici”: luoghi di ricovero dedicati ai clochard e contemporaneamente strutture a protezione e riordino dei luoghi aulici cittadini.

Le attuali scelte politiche oscillanti tra la repressione e l’immobilismo totale sembrano voler ricondurre tutti noi indietro nel tempo, all’epoca prerivoluzionaria francese. Il controllo del territorio attuato senza manganelli deve tradursi in azioni solidali, come bene sanno fare i vigili urbani di prossimità (sezione che andrebbe rafforzata all’inverosimile anziché azzerata), in cura delle aree urbane e dei cittadini tutti (da ovunque provengano).

Occorrono cambiamenti nella cultura dell’agire in sostituzione di ruspe e sfollagente: le abituali soluzioni populiste tendenti a spostare la miseria lontano dagli occhi (e quindi lontano dal cuore) si manifestano quali atti inutili quanto disumani.

È ora di riflettere e agire, senza dimenticare le esperienze della nostra Torino: culla del Socialismo e dell’orgoglio operaio solidaristico.

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