REGIONE

Autonomia differenziata, idea
(e Commissione) da rivedere

Per la Lega dovrebbe essere una sorta di legislatura "costituente" ma dopo il caos sul Covid, un anno di questa strampalata maggioranza e il governo di una giunta baravantana sicuri di dare più poteri? Per Lanzo sì, con alcuni accorgimenti

Doveva essere il vessillo da issare sul balcone di piazza Castello. Anzi, quella attuale avrebbe dovuto passare alla storia come “legislatura costituente” di un Piemonte finalmente incamminato sulla strada dell’Autonomia. L’emergenza Covid, che ha messo in luce la fragilità dell’attuale assetto istituzionale, e un anno di governo di questa maggioranza strampalata impongono ora una profonda revisione dei piani. A partire dalla stessa commissione istituita dopo molta fatica e resistenze non solo da parte delle opposizioni. Davvero, dopo tutto quello che è successo, si vuole dare ancora maggiori poteri e ulteriori funzioni a un ente che, come ha notato sullo Spiffero l’ex ministro agli Affari regionali Enrico Costa ha smarrito completamente il proprio ruolo originario, quello di programmazione territoriale, diventando l’ennesimo centro di potere gestionale e, anche per questo, in perenne conflitto con altri livelli dell’ordinamento statale? Davvero, gettando l’occhio sugli scranni di Palazzo Lascaris e scorrendo i volti della giunta, possiamo a cuor leggero assegnare più competenze a una classe politica così smandrappata, la cui massima corvé è quella di aver amministrato il proprio paesello? E, infine, non pase un ossimoro quello di un partito, la Lega, traghettato dal suo attuale leader dal federalismo (addirittura il secessionismo) al nazionalismo? Insomma, si pensa a un sovranismo in sedicesimo, anzi in ventesimo quante sono le Regioni italiane?
 
Perplessità che, ovviamente, vengono rigettate dal presidente dell’agognata commissione, Riccardo Lanzo, oggi impegnato a compilare l’agenda dell’organismo, che ne ribadisce l’utilità e ancor più l’importanza del suo oggetto, anche a dispetto di quella prima prova che la Regione ha avuto, nell’affrontare la gestione della crisi sanitaria, e che in tutta evidenza non ha colto. Non si può non ricordare come il governatore del Veneto Luca Zaia, al contrario, abbia impugnato – tra scommesse vinte e rischi corsi – proprio l’autonomia (anche forzando la mano) rispetto a indicazioni governative, seguite invece alla lettera dal Piemonte.
 
Lanzo ammette di essersi “interrogato sulle varie diversità della gestione della pandemia” e si dà una risposta sulla differenza tra le due Regioni del Nord: “In Veneto l’attuale governo guida la regione da anni e conoscendo in maniera ottimale la macchina ha potuto avere un approccio diverso dal nostro, cercando spazi di autonomia nelle maglie e nelle lacune del Governo nazionale. Noi ci siamo trovati un sistema sanitario e una macchina regionale che in otto, nove mesi non si è potuto cambiare. Fossimo stati alla guida del Piemonte da più tempo, si sarebbe agito in maniera diversa. L’autonomia si attua se si ha la consapevolezza e la conoscenza della macchina amministrativa”. E quando osserva che “in Veneto e in Lombardia hanno un approccio culturale diverso dal nostro”, Lanzo incrocia senza volerlo, una, se non la ragione principale che forse dovrebbe indurre a ripensare il concetto di autonomia (e la stessa commissione) più adeguato al Piemonte e meno frutto di emulazioni. Impensabile trovare nel Piemonte protagonista e artefice del Risorgimento e dell’Unità d’Italia quelle radici profonde di un sentire che va oltre le declamazioni di partito e che nella regione di Zaia porta autonomisti a figurare anche nelle liste del centrosinistra.
 
“È vero che partiamo da un territorio dove s’è fatta l’Italia, però – obietta il presidente della commissione – la spinta vera qui arriva dalle province, con una richiesta di maggior riconoscimento. Quindi il nostro obiettivo è andare di pari passo nella richiesta di ulteriori funzioni per la Regione con un accoglimento di quelle istanze dei nostri territori”. Riconosce, Lanzo, che il tema dell’autonomia “non tocca il cuore dei piemontesi, così come accade in una parte della Lombardia e in tutto il Veneto”. Insomma qui “non è ancora il tema su cui vinci le elezioni”. Ma, naturalmente, per la Lega resta la bandiera e il traguardo, pur con tutte quelle anomalie e specificità che il Piemonte presenta e non può superare soltanto mettendosi a ruota della Lombardia o cercando di copiare quel che fa Zaia.
 
Una rincorsa quella sulla questione delle maggiori competenze in capo alla Regione in cui si è, peraltro, prodotto anche il centrosinistra quando con Sergio Chiamparino presidente, le temute spinte secessioniste del Verbano-Cusio-Ossola verso la Lombardia per la questione dei canoni idrici spinsero il Pd ad avviare la procedura per la richiesta al Governo. E la stessa spiegazione che i dem danno oggi dell’utilità della commissione, marcando l’aspetto delle autonomie locali, se da un lato cerca di spostare l’asse, dall’altro appare un qualcosa poco più che posticcio.
 
Ma c’è un dato, insieme a quelli già citati, che dovrebbe porre una riflessione su quella bandiera che i leghisti non rinunciano a voler sventolare così com’è (al netto dei probabili ostacoli del complesso percorso che l’attuale Governo non pare intenzionato a spianare) e riguarda la traduzione in pratica dell’enunciato da parte dell’esecutivo regionale. “Saremo molto attenti – spiega Lanzo – affinché il percorso di autonomia vada di pari passo con la crescita della giunta. Vogliamo che gli argomenti vengano affrontati in maniera seria, composta e soprattutto che si costruisca. Da parte del consiglio regionale c’è la spinta, ma dalla giunta ci deve essere una recettività in grado di evitare che tutto resti sulla carta”. Un rischio non certo aleatorio e, al contempo, una delle tante ragioni per chiedersi se l’autonomia sarà qualcosa di più di una bandiera.

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