EMERGENZA SANITARIA

Ospedali ingolfati dai ricoveri,
"in arrivo la tempesta perfetta"

Saltato il piano per preservare i grandi nosocomi. Di Perri: "Nelle corsie si profila la situazione drammatica di aprile". L'anomalia piemontese: meno tamponi e più degenti nei reparti rispetto ad altre regioni. Pasqualini (Seremi): "Mappare il territorio"

Tra sette giorni negli ospedali temo che saremo nella situazione del 7 aprile, quando si arrivò al maggior numero assoluto di ricoveri. Purtroppo sarà la tempesta perfetta perché arriveremo a quel punto quando non c’è più neppure un medico da reclutare”. Nel suo ospedale, l’Amedeo di Savoia, il professor Giovanni di Perri i letti li ha già visti riempirsi tutti nel giro di pochi giorni, tutti e tre i piani sono ormai occupati da pazienti Covid tanto da dover trasferire gli altri ammalati in una palazzina del principale complesso sanitario per malattie infettive del Piemonte. Non certo un caso isolato. A Novara il Maggiore della Carità è ormai ben lungi dall’essere quell’ospedale hub da preservare da ricoveri per Coronavirus come indicato dal recente piano del Dipartimento per le malattie infettive, ad Alessandria il reparto di chirurgia ieri era in via di drastica riduzione, situazione pressoché analoga alla Città della Salute di Torino e nel resto degli ospedali piemontesi.

Ieri il bollettino quotidiano ha attestato un aumento di 167 ricoveri portando il totale nella regione a 2016, ma purtroppo ha anche confermato l’andamento crescente dei pazienti in terapia intensiva con 19 persone in più rispetto al giorno precedente per 121 letti occupati. “Nella prima ondata il giorno peggiore fu il 1° aprile quando in rianimazione ci furono 453 posti occupati – ricorda Di Perri –. Oggi siamo ancora lontani, per fortuna, ma la crescita dei ricoveri non in terapia intensiva è molto rapida”. Numeri che in Piemonte indicano un’anomalia rispetto ad altre regioni. Confrontando le cifre, per esempio, con quelle della Campania a fronte dei 23.240 attualmente positivi in Piemonte si hanno 2.016 ricoveri pari a circa il 9%, mentre nella regione del Sud i positivi sono 32.841, quindi quasi 10mila in più, mentre i ricoverati sono decisamente di meno: 1.210, pari a circa il 4%. Rapportando i numeri a quelli del Lazio, si scopre che a fronte di 26.142 positivi gli ospedalizzati sono 1.632. Appare evidente come il Piemonte abbia la più alta percentuale di ricoverati rispetto ai casi positivi. Colpa dell’età media più elevata rispetto ad altre aree del Paese? Se questa fosse la ragione principale dovrebbero contestualmente crescere in maniera altrettanto significativa le terapie intensive. Invece a essere intasati al momento sono soprattutto i reparti e le corsie.

Una delle possibili spiegazioni rimanda ancora una volta al numero di tamponi anche se il divario con una regione con un numero molto simile di abitanti come il Veneto pur lasciando ancora indietro il Piemonte si è ridotto (12.547 contro 13.688) e sempre raffrontato con il numero complessivo della popolazione i tamponi fatti in Piemonte sono in percentuale non molto distanti dai 29 mila della Lombardia che ha un numero più che doppio di residenti. Il vero dato che dovrebbe far scattare un campanello d'allarme e indurre la Regione a intensificare l'attività di tracciamento sta nel rapporto tra test effettuati e positivi riscontrati: la media nazionale è di 8 a 1 che sale a 5 a 1 proprio in Piemonte. E attenzione anche alla percentuale di asintomatici tra i positivi che continua pericolosamente ad abbassarsi e che ieri è scesa al 48%: altra sentina di sofferenza del contact tracing.

Insieme a quello dei test, è non meno degno di valutazione l’approccio con i casi sintomatici da parte di quella medicina territoriale che anche nell’ambito di territori ristretti, come all’interno di una stessa provincia, segna differenze rispetto alle richieste di ricoveri e di terapie domiciliari. Dove i medici di famiglia praticano queste ultime, i ricoveri sono meno numerosi mentre accade l’opposto in situazione inversa. “Molti casi li possono curare a casa – ribadisce Di Perri –. Certo questo richiede un contatto più diretto col medico, anche in molti casi solo con una telefonata per comunicare le condizioni e i valori rilevati col saturimetro. Se anche si accentuasse solo del 2% questa pratica si liberebbero dei letti negli ospedali”.

Tornare a marzo e aprile non è più un incubo, ma un rischio concreto. “Un confronto sui numeri dei test con la prima ondata è difficile perché cambiato il criterio con cui si fanno i tamponi”, spiega Chiara Pasqualini, responsabile del Seremi, il Servizio regionale di epidemiologia. “Oggi più che mai è importante identificare situazioni o aree geografiche a maggior rischio dove possono essere richieste misure specifiche”. Intervenire rapidamente su quei focolai che possono derivare da affollamenti, trasporti o interazioni dovuti a sposamenti per lavoro o per altri motivi, è uno degli imperativi per cercare di evitare che i contagi aumentano come sta avvenendo ormai da giorni. Disegnare una mappa del Piemonte del Covid è uno dei compiti che dovrebbero svolgere i Sisp, i servizi di igiene pubblica e sanità delle Asl che certo non hanno brillato per efficienza fino ad oggi.

“Dal 4 maggio al 20 luglio abbiamo avuto una riduzione costante dei casi – spiega Pasqualini – poi dal 20 luglio fino a fine agosto abbiamo osservato casi importati, circa 6 su 10.  Da metà settembre è incominciata l’accelerazione della diffusione del Covid”. La responsabile del Seremi conferma come, ad oggi “circa il 95% dei focolai sia di tipo famigliare e quelli nelle Rsa e nelle scuole, pur tenuti sotto strettissima attenzione, sono presenti in misura decisamente minore”, mentre per quanto riguarda i decessi che purtroppo aumentano di giorno in giorno – ieri erano 13 – Di Perri osserva che “l’indice di letalità del virus passa da circa il 3,5% nei sessantenni all’8% per i settantenni e arriva al 14% per gli ottantenni”.

Quanto ci vorrà per vedere se gli ultimi provvedimenti, come la chiusura o la riduzione dell’orario di alcune attività commerciali, abbasseranno la curva dei contagi? “L’unica controprova che abbiamo è quella del lockdown”, ammette Di Perri. Di fronte c’è una settimana, alla fine della quale gli ospedali potrebbero trovarsi a rivivere il giorno più buio della prima ondata. E dopo? “La prima curva, all’inizio dell’anno, salì vertiginosamente, ma poi ci fu il lockdown. Il potenziale serbatoio del virus teoricamente è inesauribile”.

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