Un anno da "resistenti"

Dopo Natale arriva il tempo dei bilanci personali. Di norma l’avvicinarsi dell’ultimo giorno dell’anno attiva in noi una serie di buoni propositi, insieme alle inevitabili critiche dei mesi oramai alle spalle. In questo periodo di festa alcuni cari amici mi hanno condotto a riflettere sulla “Speranza” (non il Ministro della Salute) e su quanto sia importante non abbandonarla mai.

Rileggendo gli articoli pubblicati in questa rubrica, durante il trascorrere delle 53 settimane che hanno dato vita al difficile anno 2020, ho potuto riscontrare come sui temi inerenti la politica e la società, i beni culturali, il lavoro e infine la mala gestione dell’emergenza virale sia difficile individuare spunti per un lieto fine. In sintesi, ho espresso molte parole amare riferite al “sistema”, ma forse pochissimi elogi alla “Speranza”.

L’intreccio dei temi che ho trattato, e approfondito, non lascia purtroppo molto spazio all’ottimismo. Un fenomeno che viene amplificato quando il riflettore della libera opinione punta il suo fascio di luce in direzione della più importante sfaccettatura della vita comunitaria: la Politica. L’arte del governo è infatti lo specchio fedele di un disastro culturale che ha consentito di trasformare i sentimenti più bassi (arroganza, invidia, individualismo, egoismo, clientelismo) in modelli di vita da emulare sempre.  

La cronaca della decadenza affliggente la nostra Democrazia ha messo per troppo tempo in un angolo la moltitudine dei “Resistenti”, ossia di chi è costantemente impegnato nella difesa dei grandi valori solidali e sociali. Donne e uomini presenti in gran numero nel tessuto collettivo sono di fatto spariti da qualsiasi forma di comunicazione rivolta alla popolazione. Mi sono involontariamente unito al “silenzio” generale, descrivendo le macerie prodotte da enormi catastrofi senza però dedicare parole ai cittadini che puntellano i muri impedendo ulteriori devastanti crolli, nonché a coloro che rimuovono detriti tutti i giorni e con fatica, per ricostruire le fondamenta della solidarietà.

Avrei potuto infatti narrare di alcuni residenti del quartiere Santa Rita (Torino) impegnati da anni in un doposcuola accessibile alle famiglie provenienti da ogni angolo del pianeta: a bambini portatori di culture molto differenti e magnificamente variegate. Un’opera, la loro, costruita nel nome dell’inclusione e in antitesi alle vergognose proteste anti-nomadi organizzate nel rione al grido (rivolto soprattutto ai minori) “Bruciamoli tutti”.

Allo stesso modo sarebbe stata buona cosa raccontare di tutte quelle associazioni impegnate a realizzare sul territorio cittadino progetti di contrasto al disagio. Realtà che operano con il fine di connettere ogni aspetto della comunità urbana, valutando altresì le differenze al pari di una ricchezza inattesa. Una narrazione che mi avrebbe consentito di descrivere il Presepe di via Negarville a Torino, e quindi citare una compagine di residenti da sempre riferimento degli studenti torinesi provenienti da ogni parte del mondo.

Altrettanto degni di nota sono i progetti curati dalle insegnanti di scuole e istituti pubblici. Proposte indirizzate all’inclusione e alla creazione di pari opportunità per tutti, redatti grazie alla grande passione dei proponenti: un’energia molto utile al territorio e ai nuclei familiari coinvolti dall’iniziativa. Non vanno scordati neppure i percorsi di accesso allo sport rivolti alle vittime dell’ingiustizia sociale: importante attività fisica a beneficio della salute pubblica e della lotta all’emarginazione (dalle scuole di scherma a quelle di calcio).

L’elenco che racchiude le azioni dei cosiddetti “Resistenti” è davvero lungo, poiché enumera ricercatori (sempre sotto pagati), volontari della Cultura (tra cui i miei amici del forte di Fenestrelle), chi raccoglie cibo destinandolo a chiunque abbia letteralmente fame (Caritas, Mutuo Soccorso Operaio a Torino Sud) e molti altri. Una lista che assegna un ruolo di riguardo a infermieri, medici e operatori ospedalieri: lavoratori in trincea come non mai nel 2020, seppur perennemente colpiti da tagli finanziari e riduzioni del personale (grazie ad assessori troppo spesso attirati dal “Privato amico”).

Affido queste parole di “Speranza” alla schiera dei solidali, a quei cittadini che non sono disposti ad arrendersi neppure quando le Istituzioni guardano altrove, oppure addirittura boicottano le loro azioni. A quelle donne, a quegli uomini e a noi tutti l’augurio di un nuovo anno migliore: ricco di solidarietà e povero di ottuso egoismo.

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