LOTTA AL COVID

Monoclonali, Piemonte al palo

Da marzo somministrate solo 365 terapie, meno della metà del Veneto. Il farmaco evita in molti casi il ricovero. L'infettivologo Di Perri: "Il sistema funziona male e si spreca un'opportunità importante". Ritardi e scarsa risposta dai medici di famiglia

Da metà marzo, quando gli anticorpi monoclonali hanno incominciato ad essere distribuiti ai vari centri abilitati alla somministrazione, fino all’8 luglio sono stati 6.198 gli italiani curati dal Covid con questa terapia. Un’unica somministrazione con una flebo e una permanenza in ospedale di circa un paio d’ore, ma con il requisito essenziale la rapidità, “il tempismo di questa terapia è essenziale”, spiegava la primavera scorsa il primario di infettivologia dell’Amedeo di Savoia di Torino, Giovanni Di Perri.

Cinque mesi dopo l’avvio, il Piemonte non brilla affatto per numero di terapie. Dal rapporto dell’Aifa emerge una differenza enorme tra due regioni con un numero di abitanti molto simile: il Veneto e il Piemonte, appunto. Nella regione del Nord Est, nel periodo preso in esame, le persone curate con le varie tipologie di monoclonali approvati dall’Agenzia italiana del farmaco sono state 803, più del doppio di quelle sottoposte alla stessa terapia a Torino e negli altri ospedali del territorio che si fermano a 365.

Ma qual è la ragione un numero così basso?
“È un sistema che purtroppo in Piemonte sta funzionando male”. Di Perri non si mette i guanti per dire ciò che pensa, soprattutto quel che in questi mesi ha visto nel suo ospedale e in negli altri che compongono la rete per i monoclonali.

Professore, perché non funziona? Dov’è che si inceppa un maccanismo che dovrebbe essere il più rapido possibile?
“Chi deve mandare il più presto possibile a fare i monoclonali persone che per età e patologie possono sviluppare una forma grave della malattia, non li manda. E spesso, quando ce li mandano, sono in ritardo”.

Si riferisce ai medici di famiglia?
“Certamente il medico di medicina generale è il primo contatto per chi è positivo e presenta sintomi iniziali. E i farmaci monoclonali è provato che se somministrati nei primissimi giorni di infezione su persone candidate a sviluppare una malattia seria, finire in ospedale, funzionano molto bene. Se li facciamo subito c’è un’efficacia anche superiore al 50 per cento nel ridurre la probabilità che il malato finisca in ospedale, mentre se si perde tempo l’efficacia cala, ogni minuto che passa”.

Da quel che lei dice non passano solo i minuti o le ore, ma addirittura i giorni. Com’è possibile? 
“È un atteggiamento molto strano. Tra l’altro questi farmaci non pesano sul budget delle prescrizioni, sono comprati e prepagati dal ministero. Io ho mandato a fare i monoclonali persone che mi chiamavano da Roma, Napoli, li ho indirizzati ai colleghi delle loro città che glieli hanno fatti subito. Qui a Torino e in Piemonte c’è un’incomprensibile ritrosia a indirizzare verso i centri chi può rischiare molto nel caso sviluppi la malattia in maniera seria e che, invece, con questa terapia ha moltissime probabilità di evitarlo”.

È mancata un’adeguata comunicazione? 
“Non credo. Come Regione e come Dirmei è stato fatto tutto per spiegare e comunicare ai medici i criteri, le linee guida e, lo ripeto, la necessità di essere tempestivi. Debbo dire che appena uscirono, sui monoclonali mi sarei aspettato un grande entusiasmo, una grande partecipazione da parte dei medici sul territorio che invece non si è visto. Paradossalmente si è parlato moltissimo di altre terapie rivelatesi meno e per nulla efficaci e poco o niente di questa cura che invece è molto seria e dà ottimi risultati. Abbiamo rinnovato la sollecitazione ai medici di base, ma i dati sono quelli che vediamo. E di quei meno di 400 pazienti, circa la metà è stata sottoposta alla terapia qui all’Amedeo di Savoia”.

È mancato un afflusso non solo quando i contagi erano andati calando, ma anche quando erano ancora molto alti. E questa è un’altra anomalia. È d’accordo? 
“Assolutamente. Nello stesso periodo in cui sono stati fatte quelle poco meno di 400 terapie, in Piemonte ci sono state 60mila nuove infezioni in Piemonte. Vogliamo dire che tra tutti questi positivi non ci fosse qualche migliaia di persone a rischio che avrebbe potuto ricevere i monoclonali, evitando di finire in ospedale o peggio?”

Per i vaccini ci sono stati problemi di approvvigionamento, ancora adesso si potrebbero fare più somministrazioni di quante ne consenta il numero delle dosi. Anche sui monoclonali c’è questo problema?
“Per nulla. Abbiamo i frigoriferi pieni. Nel nostro ospedale ci siamo attrezzati da subitio per poter fare 25 terapie al giorno, ma il giorno in cui ne abbiamo fatte di più sono state 11. Tant’è che ho fatto un appello all’Aifa per poter usare questi farmaci in profilassi per coloro che non rispondono al vaccino, ma dall’agenzia hanno risposto che sono in corso valutazioni. Credo comunque che si arriverà anche questo utilizzo. Ma nel frattempo sarebbe ora che chi deve inviare le persone a sottoporsi ai monoclonali lo faccia. Senza perdere tempo”. 

Leggi qui il Rapporto Aifa sui monoclonali

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