Quel monito di Donat-Cattin

C’è stato un discorso pubblico, tra i moltissimi, di Carlo Donat-Cattin che è passato alla storia. Della sua corrente, innanzitutto, la sinistra sociale di ispirazione cristiana e del suo partito, la Democrazia Cristiana. È quello che concluse il convegno della corrente di Forze Nuove nel settembre del 1990 a Saint Vincent. Appunto, gli storici convegni di Saint Vincent dove Donat-Cattin e la sua corrente riuscivano a dettare l’agenda alla politica nazionale. Ebbene, in quel memorabile e quasi profetico intervento Donat-Cattin, oltre ad indicare in Franco Marini il “successore” alla guida della componente della sinistra sociale di Forze Nuove, spronava tutti gli attivisti e i militanti di quella storica corrente democristiana a proseguire il loro cammino con “lealtà, coerenza, lungimiranza e coraggio”. E, soprattutto, e di fronte alle difficoltà politiche ed istituzionali che già intravedeva all’orizzonte – ed eravamo solo nel settembre del 1990 – Donat-Cattin invitava esplicitamente i cattolici popolari e sociali a “continuare la loro battaglia”. Senza interruzioni e senza alcun cedimento alla presunta modernità e ad un “maldestro nuovismo”. Perché il “nuovismo esisteva già allora ed era già dello stesso conio di quello contemporaneo.

Ecco, mi è venuto in mente quello storico, e aggiungo profetico, intervento del leader di Forze Nuove nella località valdostana perché forse oggi siamo di nuovo, e per l’ennesima volta, di fronte ad uno snodo decisivo dell’impegno dei cattolici popolari e sociali. Certo, dopo quella stagione ci fu la scommessa di Mino Martinazzoli e di Franco Marini del 1994 di correre con un “terzo polo” centrista alternativo alla sinistra della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto da un lato e alla destra di Berlusconi e Fini dall’altro. Una scelta, quella di Martinazzoli e di Marini, che permise poi due anni dopo di inaugurare la stagione dell’Ulivo e di dar vita ad un vero e credibile centro sinistra. Dopodiché la stagione del bipolarismo, più o meno “selvaggio”, ha preso il sopravvento nella politica italiana sino all’irruzione del populismo demagogico, antipolitico, qualunquista, giustizialista e manettaro dei 5 stelle che, fortunatamente, sta volgendo al tramonto, anche se continua a correre nella pancia del paese. Ma, al di là del populismo pentastellato e del suo ruolo nella politica e nella società italiana, quello su cui vale la pena richiamare l’attenzione – parlando di quell’intervento di Donat-Cattin – è che quel settore del cattolicesimo politico è nuovamente chiamato, oggi, a fare delle scelte politiche nette e precise supportato dalla cultura politica di riferimento. Certo, tutte le scelte sono opinabili e, rispetto a quella stagione straordinaria ma purtroppo ed oggettivamente irripetibile dell’inizio degli anni ’90, ognuno la declina nel proprio campo di appartenenza. Ma un fatto è indubbio, almeno a mio parere. E cioè, chi crede ancora in quel richiamo di Donat-Cattin ha il dovere, morale prima ancora che politico e culturale, di tradurre concretamente quel filone ideale nella dialettica politica contemporanea. Chi nell’area della sinistra massimalista e tardo ideologica; chi nel campo della destra sovranista e chi, invece nel recinto del centro riformista. Escluso, come ovvio, i 5 stelle perché il populismo e l’antipolitica non sono compatibili con la politica, i partiti organizzati e le rispettive culture politiche.

Ma la lezione finale, comunque sia, è una sola. Ovvero, saper conservare e soprattutto valorizzare la tradizione e la cultura del cattolicesimo sociale nei contenitori politici in cui ci si impegna oggi. Che sono non solo diversi ma, purtroppo, addirittura alternativi rispetto a quella stagione carica di politica, di contenuti di riferimento e di cultura politica. Appunto, come diceva Donat-Cattin nel lontano 1990, il tutto va però fatto con “lungimiranza, coraggio, lealtà e coerenza”.

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