IMPRESA & GIUSTIZIA

Ex Embraco: 4 anni a chi ha fatto sparire i soldi, ma i lavoratori restano a bocca asciutta

Hanno patteggiato quattro anni di reclusione i quattro imputati del processo per il crack della ex Embraco, azienda di Riva presso Chieri, nel Torinese. La precedente richiesta di concordare una pena di tre anni è stata rimodulata stamani alla ripresa dell’udienza preliminare, celebrata dal gup Roberta Cosentini. Il patteggiamento non comporta un indennizzo ai lavoratori che si sono costituiti parte civile. “La pena – commenta l’avvocato difensore Ivan Colciago – ci consentirà di accedere a misure alternative alla detenzione. Quanto ai risarcimenti, non erano l’oggetto dell’udienza di oggi. Vi sarà, eventualmente, un separato giudizio di sede civile”. I quattro imputati sono riconducibili alla società Ventures, che subentrò nella gestione dell’azienda. Secondo l’accusa furono sottratte delle somme di denaro che erano vincolate all’investimento per il rilancio del sito produttivo. Uno dei lavoratori, lasciando Palazzo di Giustizia, ha detto “ci hanno presi in giro”.

Ad aver patteggiato per il reato di bancarotta sono Gaetano Di Bari e i figli, Alessandra e Luigi, che erano titolari della Ventures, e Carlo Noseda il marito di Alessandra. Sono stati loro ad aver fatto sparire oltre 12 milioni che dovevano servire a rilanciare lo stabilimento industriale tra compensi per gli amministratori, auto di lusso, spese personali, investimenti su conti israeliani, gironconti attraverso la Germania.

Il progetto di Ventures era stato selezionato dal ministero dello Sviluppo Economico per reindustrializzare lo stabilimento di Riva di Chieri della Embraco, all'epoca del gruppo Whirlpool che nel gennaio 2018 aveva deciso di chiudere la fabbrica e di licenziare 517 lavoratori. A marzo di quello stesso anno era stato firmato l’accordo al Mise. Il passaggio a Ventures, avvenuto a luglio, prevedeva il rientro di quasi tutta la forza lavoro con un centinaio di uscite incentivate. Del progetto faceva parte anche Astelav, azienda che si occupava della rigenerazione di elettrodomestici, subito però uscita di scena. Ventures era una newco formata da un gruppo israeliano e dalla famiglia Di Bari con il 40 per cento ciascuno. Terzo socio un partner cinese rimasto sempre sulla carta. L'inizio della produzione di robot pulitori di pannelli fotovoltaici era previsto da gennaio 2019, ma non è mai partito. Intanto sono stati smantellati i macchinari della ex Embraco e i lavoratori rientrati sono stati impiegati per la ristrutturazione dell'immobile. Il fondo di 4 milioni, messo a disposizione di Ventures da Whirlpool per la reindustrializzazione e l’avvio della produzione, è stato utilizzato in modo illecito dai dirigenti dell’azienda che oggi hanno patteggiato.

“Il patteggiamento di oggi è un tassello in più che acclara le gravissime responsabilità degli amministratori di Ventures. Non è però una sentenza che ci può soddisfare, nonostante la pena sia stata leggermente adeguata. Rimane l’incolmabile sproporzione della punizione in rapporto all’aver lasciato 500 famiglie sulla strada”. È il testo di una nota diffusa da 13 lavoratori. “Il dato di fatto – osservano – è che nei nostri confronti non è stato tentato alcun intervento fattivo né per risarcirci né per individuare delle prospettive occupazionali alternative. Ad oggi noi ex dipendenti siamo le uniche vittime, abbandonate a noi stesse, nel silenzio delle istituzioni. “La condanna odierna – aggiungono – ci persuade però ad andare avanti a far valere le nostre ragioni nei confronti di tutti i soggetti che in questa vicenda abbiano avuto responsabilità, non solo penali ma anche civili. In questa direzione oggi ci ha anche indirizzato il Pubblico Ministero nello spiegare la scelta della Procura”. “Con un po’ di diligenza e accortezza – è la conclusione – chiunque avrebbe potuto capire che la reindustrializzazione promessa era un inganno. Sono mancati tutti i controlli. Anche su questo nodo abbiamo intenzione di trovare la via per esercitare il nostro diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale”. I lavoratori avevano chiesto di costituirsi parte civile con l’avvocato Sara Franchino.

Intanto è stato individuato in un aeroporto italiano Ronen Goldstein, cittadino israeliano, il quinto indagato nel procedimento sul crack della ex Embraco. L’uomo risulta residente in Svizzera. Per l’iniziativa degli inquirenti piemontesi ha dovuto procedere alla cosiddetta elezione di domicilio in vista della notifica dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari. In uno dei capi d’accusa dei quattro che hanno patteggiato si osserva che nel bilancio del 2019 fu iscritto un attivo di 413mila euro relativo alla partecipazione acquisita in una società di diritto israeliano “in assenza di documentazione comprovante l’acquisto”. Si contesta inoltre che l’aumento di capitale da 10mila euro a 2 milioni venne finanziato in maniera fittizia anche attraverso un importo di 75mila euro che venne fatto maturare in forza di un “incremento non provato della partecipazione” di Goldstein nella società. L’avvocata Elena Poli, parte civile per il sindacato Fiom, afferma che continuerà a seguire gli sviluppi del procedimento “nella serena convinzione che la maggior parte dei soldi li abbia il quinto indagato”.

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