CHI HA REGIONE?

Governatori senza scadenza.
Toti teme di finire in pensione

L'ex consigliere politico del Berlusca vuole fare il presidente a vita: "Incoerente bocciare la possibilità di superare il limite dei due mandati se si sostiene il premierato". La verità è che nel 2025 rischia la disoccupazione. I cavilli giuridici e le posizioni politiche

Chi si oppone paventa l’affermarsi di cacicchi locali, inamovibili e dispotici come piccoli ras regionali. Al contrario, coloro che ne sollecitano il via libera lo fanno in nome della suprema “volontà popolare”. Sulla questione del terzo mandato dei governatori, che non piace, tra gli altri, a Antonio Tajani, il presidente della Liguria Giovanni Toti, si iscrive al partito dei favorevoli. L’ex consigliere politico di Silvio Berlusconi, oggi collocato tra i centristi del centrodestra, non è propriamente disinteressato: il secondo mandato a Piazza De Ferrari scade infatti nel 2025 e vede con preoccupazione il proprio futuro politico. Tra poco più di un anno potrebbe prepararsi a un pensionamento anticipato, perché come riferisce una fonte della Superba, “politicamente è un morto che cammina”.

“Intanto mi faccia dire che sul tema c'è molta approssimazione dal punto di vista giuridico e si mettono insieme situazioni diverse – dice Toti all’Ansa –. Ci sono governatori come Zaia che sono già al terzo mandato, ci sono Regioni che hanno recepito nel proprio statuto il limite del secondo mandato e altre che, pur avendo cambiato la legge elettorale secondo i principi richiesti dallo Stato, non ha recepito questo vincolo. È il caso della Liguria, che ha cambiato la legge elettorale nella passata legislatura. Quindi, esattamente come per il Veneto in questa legislatura, da noi il tema non si pone. Le leggi, ammesso che prevalgano i principi generali della legge statale su una competenza regionale come la legge elettorale, cosa non scontata, si applicano per il futuro e non per il passato, la retroattività non esiste. Dunque, per la Regione Liguria il tema del terzo mandato si porrà semmai a partire dal 2030, perché questo è il primo mandato con la nuova legge. Su questo i pareri giuridici che abbiamo raccolto sono univoci, concordi e autorevoli. Quindi quello che le dirò esula dal fatto personale”. Difficile da credere, ma ci proviamo.

E cioè? “Cioè mi sembra assurdo che un governo che vara una legge sul premierato che permette l’elezione diretta del capo del governo senza limiti di tempo e di mandato poi, quando si cala sui territori, voglia confermare un limite che esiste solo in Italia. Ovvero: si potrà essere eletti a vita premier, se i cittadini lo vorranno, ma non sindaco o presidente di regione. A me sembra un’incongruenza grave, specie per una maggioranza che del rapporto diretto col cittadino ha fatto una delle basi portanti della sua politica. Già oggi la situazione è assurda: uno può fare il ministro a vita, ma non il sindaco. Abbiamo avuto la rielezione di due Presidenti della Repubblica negli ultimi dieci anni. Allora diciamolo che tra Roma e i territori si usano due pesi e due misure. Forse perché una classe dirigente di nominati come quella che produce la legge elettorale del Parlamento, teme l’elezione diretta nelle città e nelle Regioni”.

La soluzione “se si vuole essere coerenti” consiste nel “togliere ogni vincolo sul numero dei mandati e reintrodurre una forma di elezione diretta anche dei parlamentari, con collegi o preferenze, insieme alla elezione diretta del premier. Gli attuali meccanismi di voto non hanno migliorato la nostra classe dirigente a Roma, anzi, il contrario. Una classe dirigente scelta dal vertice, senza nessun rapporto col territorio in cui viene eletta, rischia di vedere sempre come una minaccia coloro che sono scelti col consenso diretto. E questo indebolisce il Parlamento e falsa i rapporti tra centro e periferia”.

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