VERSO IL VOTO

Amaro lucano, Maalox piemontese.
Tra Pd e M5s un'intesa "indigesta"

Dopo la Sardegna e in attesa dell'Abruzzo, il campo largo passa pure da Potenza. Lì, intanto, il partito di Schlein si spacca e scoppia la rissa sul candidato di Speranza. Veti incrociati tra Valle e Gribaudo. Si fa largo la candidatura del segretario Rossi

Appesi pure alla Basilicata. Per provare a fare l’alleanza con i Cinquestelle in Piemonte, il Pd prima ha aspettato la Sardegna, poi lega il destino del campo largo nel frattempo diventato contianamente “giusto” all’esito del voto in Abruzzo e, come se già tutto ciò non bastasse (a ridurre la regione più importante a fanalino di coda) adesso fonti autorevoli del partito di Elly Schlein ammettono che “molto se non tutto dipenderà dall’accordo o meno” in Lucania. Menomale, vien da dire, che non si vota anche in Valle d’Aosta.

Il fatto, anzi il guaio per i dem, è che in Basilicata l’accordo neppure al loro interno c’è. Anzi l’altra notte la lunga riunione serale è addirittura finita in rissa, “verbale” precisano alcuni dirigenti locali, senza poter smentire quanto accaduto al cospetto di Taruffi & Baruffi, premiata ditta specialista in sfracelli elettorali, ovvero i due emissari romani della segretaria, Igor Taruffi responsabile Organizzazione e Davide Baruffi referente per gli Enti Locali. Al centro dell’acceso confronto, dove per poco non finiva a scazzottate da saloon, la candidatura di Angelo Chiorazzo, imprenditore del terzo settore con solidi legami nelle gerarchie ecclesiastiche, fortemente voluto dall’ex ministro della Salute Roberto Speranza “e dalla stragrande maggioranza del partito” lucano, come si premura di sottolineare il segretario regionale Giovanni Lettieri. Sarà, ma al momento il re delle coop bianche non ha il sostegno delle altre forze del centrosinistra e una parte dei dem locali, guidati dall’ex senatore Salvatore Margiotta, non ci sta: “Serve un nome che allarghi o la corsa solitaria sarà un suicidio”, avverte. Come lui, altri notabili contrari alla scelta di Speranza fanno notare che in quel territorio “Azione vuol dire Pittella e vale tra il 5 e il 6%”.

Contro la linea “Chiorazzo o morte” era pronto un documento, sottoscritto da 20 dirigenti dem e animato da Margiotta. Chi era presente alla riunione riferisce che la premiata ditta Taruffi & Baruffi abbia suggerito di evitare il voto e lasciare la partita aperta. Appello inascoltato, scoppia la bagarre, i dissidenti lasciano la sala prima ancora di presentare il documento alternativo, su cui era in corso una raccolta di firme. Se ne vanno anche Taruffi e Baruffi, ma la riunione riprende “in modo inatteso e non concordato”, denunciano i contrari a Chiorazzo e viene approvato un altro documento, quello a suo favore. Un colpo di mano, bell’e buono denuncia la frangia dem dissidente. Lettieri non la vede così: “Mi auguro di riportare a breve un clima di serenità”. Nell’attesa, il Pd lucano conferma Chiorazzo mentre il fronte interno opposto è pronta a rivolgersi alla Schlein ricordando alla segretaria le sue parole: “testardamente unitari”. Le testate si sono sfiorate, l’unità manco un po’. 

La mossa di Speranza di avere con Chiorazzo il partito di Conte per ora ha prodotto solo una grave frattura interna. E Matteo Renzi non ha atteso un istante per mettere il sale sulla ferita: “Se la sfida sarà tra il generale Vito Bardi (governatore forzista ricandidato del centrodestra, ndr) e l’ex ministro Speranza, staremo convinti dalla parte di Bardi. Scegliamo le persone, non le formule politiche”. Frase, quest’ultima, da annotare sul taccuino della vicenda piemontese, a fronte di alcune scomposte corse in avanti nell’area renziana.

Un filo a dir poco ingarbugliato quello che appende l’agognata alleanza in Piemonte con i Cinquestelle allo scenario lucano. Quasi un nodo scorsoio all’interno del quale il Pd piemontese ha infilato il collo come si trattasse di una cravatta da matrimonio. Matrimonio che pare sempre più vedere in Giuseppe Conte il Don Rodrigo, men che meno Chiara Appendino nei panni di Lucia Mondella. E se i capponi, per ora, sono nel Pd lucano, quello piemontese sta finendo in una commedia dell’assurdo. Lo stesso rimando ai destini dell’alleanza giallorossa in Basilicata, regione paragonabile a una provincia, la dice lunga. E dice anche che, a questo punto, l’unica ragione a sostegno del campo largo o giusto che sia, in Piemonte, sarebbe il fatto che lo si fa ovunque. Non proprio granitico come motivo. Tant’è che sulla possibilità di una proposta gialloverde in contrapposizione al centrodestra guidato da Alberto Cirio, aumentano le forti perplessità di non pochi dirigenti nazionali dem, peraltro già alle prese con un ulteriore problema che si pone anche nel caso in cui l’alleanza non si faccia.

Pur in assenza di veti esplicitati, i due candidati paiono su posizioni inconciliabili l’uno rispetto all’altro. Chiara Gribaudo, qualora dovesse essere costretta a uscire di scena non vuole che a correre per la presidenza sia Daniele Valle e quest’ultimo farà di tutto pur di non vedere la parlamentare di Borgo San Dalmazzo competitor di Cirio. Questo, a maggior ragione nel caso in cui l’accordo arrivasse e imponesse di scegliere o trovare in fretta e furia un candidato. Uno scenario nel quale si prospetta sempre più concreta una terza via, quella che porta alla candidatura di Domenico Rossi. Il segretario regionale, dopo aver passato mesi a rincorrere i Cinquestelle e a tenere a bada i due aspiranti candidati, si sta scaldando a bordo campo. Stretto.

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