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Massoneria tra golpe, epurazioni e carte bollate: in ballo il patrimonio

Il Gran Maestro uscente non vuole mollare e pur di assicurare al suo delfino Seminario la guida del Goi le sta provando tutte: ricorsi interni e destituzioni. Ma il vincitore delle urne Taroni si è rivolto alla giustizia ordinaria. Sullo sfondo la gestione di oltre 200 milioni di immobili

C’è sempre più nervosismo nella Massoneria italiana dopo le elezioni che hanno decretato un vincitore e nottetempo il Cen (comitato elettorale nazionale) alle 4 di mattina ha ribaltato il responso delle urne, cancellando la vittoria di Leo Taroni, annullando molti voti a lui attribuiti.

Elezioni svolte in un clima da guerra fredda, con il Gran Maestro uscente Stefano Bisi particolarmente impegnato a contrastare l’imprenditore ravennate e la sua lista per cercare di avvantaggiare il suo “vassallo”, Antonio Seminario. Alle elezioni “Tonino il cosentino” ha preso 6.467 voti – la stragrande maggioranza dei quali in Calabria e Sicilia – mentre Taroni ha ottenuto 6.482 voti – spalmati su tutte le regioni d’Italia, ma concentrati prevalentemente al Nord, aggiudicandosi così la partita per 15 voti.

Esito che ha mandato su tutte le furie Busi, il quale in un comunicato stampa diffuso sul sito del Goi ha definito il vincitore Taroni “sedicente candidato” e i risultati derivanti dagli scrutini degli “exit poll”, che ovviamente non si fanno per le elezioni massoniche. Si capisce subito che la parte perdente, ovvero l’asse Bisi-Seminario, ha in serbo una mossa per rovesciare il risultato elettorale, anche a costo di eccedere nell’ortodossia.

Il 9 marzo infatti si riunisce il Cen e delibera a maggioranza risicatissima – 8 membri contro 7 – l’annullamento guarda caso di una serie di voti della Lombardia (regione dove Taroni ha stravinto) utilizzando come alibi la presenza nella scheda del talloncino elettorale di garanzia voto. Da sottolineare il fatto che nelle precedenti elezioni dove vinse Bisi lo stesso Cen ritenne validi tutti i voti con la presenza del talloncino. Essendoci questo precedente, risulta evidente la debolezza della motivazione, al punto tale che temendo non possa reggere la sorreggono con un ricorso alla Corte centrale per dichiarare illegittima l’ammissione alla competizione elettorale della lista 1 Noi insieme di Leo Taroni. “Si tratta di un vero e proprio golpe – denunciano gli oppositori di Bisi –. Neanche nelle peggiori dittature, dopo aver rovesciato l’esito elettorale, si chiede una non ammissione della lista prima vincente e poi perdente. Un golpe basta e avanza!”.

Ovviamente la lista di Taroni è stata autorizzata dal Cen – lo stesso organo che ha ribaltato il risultato delle urne – quindi questa richiesta, qualora venisse accettata, andrebbe a disconoscere la validità del lavoro dell’organismo. “Viene da chiedersi se non sia un inconsapevole autogoal – aggiungono ambienti del Vascello, villa dove ha sede il Goi di Roma – cioè se non disconosca implicitamente anche la risoluzione del 9 marzo quando, annullando voti per Taroni, ha decretato la vittoria di Seminario. E poi perché se si è sicuri della validità della decisione del Cen si tenta addirittura di far espellere retroattivamente una lista autorizzata regolarmente, che ha fatto campagna elettorale e sul campo ha vinto? Ci si prepara forse a reggere l’urto della giustizia profana?”.

Evidentemente Bisi e Seminario sanno che la motivazione dei talloncini non è sostenibile e cercano di tagliare alle radici il problema puntando su una decisione non proprio oggettiva del presidente della Corte Centrale: Ugo Bellantoni – indagato e poi archiviato per concorso esterno alla ‘ndrangheta nella inchiesta Rinascita Scott della procura di Catanzaro – Gran Maestro onorario, calabrese e sponsor della coppia.

La tensione è palese, così come è manifesto il timore di venir fermati dalla giustizi. E che la situazione sia ormai sfuggita di mano lo confermano le epurazioni che sono prontamente seguite, un classico di ogni golpe che si rispetti. Infatti, subito dopo il ribaltamento del voto del 9 marzo sono stati destituiti dalle cariche della gran Loggia (l’organo che delibera e guida il Goi) molti esponenti di spicco che avevano appoggiato Taroni. Al momento ad essere stati colpiti dalle purghe massoniche sono dieci “fratelli”: tre in Lombardia, due in Piemonte, due in Emilia-Romagna, uno in Sardegna. “Come si pensa poi di governare il Goi? Con espulsioni continue e politica del terrore? Rientrano forse queste misure nei parametri di fratellanza e armonia che dovrebbero ispirare la migliore tradizione della massoneria italiana?”.

Tutto questo nervosismo deriva sicuramente dalla consapevolezza che il golpe ha le ore contate. La lista 1 di Leo Taroni appena avrà ottenuto il probabile diniego della corte centrale di Bellantoni sul ricorso sui talloncini adirà alla giustizia ordinaria. Un’azione fondata su argomentazioni difficilmente contestabili. Anzitutto la costituzione e il regolamento del Goi non prevedono nulla in merito ai tagliandini antifrode, infatti tra gli obblighi degli elettori e del seggio di scrutinio non si menziona mai il tagliandino elettorale. Se si menziona in altri documenti operativi di guida alle elezioni questi non sono comunque fonte di diritto interno. In materia elettorale in Italia vige il principio del “favor voti” che prevede che il voto debba essere ammesso ogni volta che si possa desumere la volontà chiara dell’elettore mentre devono essere dichiarati nulli solo quei voti in cui siano presenti inequivocabili segni di riconoscimento. Il “favor voti” è stato riconosciuto da diversi atti della giurisdizione italiana – a cui la massoneria e il Goi devono attenersi – come il testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati e dalla Giunta per le elezioni di Montecitorio.

In conclusione, per la legge italiana il voto espresso su scheda a cui non è staccato il talloncino è da ritenersi valido. Fra l’altro la lista 1 di Taroni ha anche depositato una denuncia per associazione a delinquere nei confronti degli 8 membri del Cen che non hanno applicato la legge interna e la legge italiana e sono andati contro le loro stesse decisioni delle precedenti elezioni.

Insomma, la notte dei lunghi coltelli non è ancora terminata. E c’è chi sospetta che il disperato tentativo di impedire il passaggio di poteri nella più importante Obbedienza massonica abbia a che fare con il destino della fondazione connessa che gestisce un patrimonio immobiliare di oltre 200 milioni di euro.