SACRO & PROFANO

La Chiesa riparte da Zero (Renato). Repole e la sua teologia "debole"

Come chiude i suoi concerti il cantautore, invitato da Francesco alla recente Giornata mondiale dei bambini, anche il vescovo di Torino pare supplicare: "Non dimenticatemi eeeh". La fascinazione estiva per l'epoca pre-costantiniana. E i giovani guardano altrove

Un noto e bravo cantautore, dall’incerto orientamento affettivo, anche se esplicitamente credente, Renato Zero, invitato a cantare coram Francisco alla recente Giornata mondiale dei bambini, conclude sempre i suoi concerti con un accorato gridolino: «Non dimenticatemi eeeeh!» Lo stesso intento pare abbiano i reiterati interventi – sempre sullo stesso argomento ma spacciati per novità – dell’arcivescovo di Torino Roberto Repole il quale, nel giro di pochi giorni e per colmare il “vuoto estivo”, ha rilasciato un’intervista alla Radio Vaticana sull’enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI e ha pubblicato un articolo su Vita e Pensiero.

Tutto parte da una conferenza tenuta due anni fa alla “Torino bene” della Crocetta e quindi agli amici catto-democratici che si ritengono gli unici depositari della verità sulla corretta interpretazione del Vaticano II e di un cattolicesimo intellettualmente all’altezza della modernità. Dopo essere stata ripetuta in varie diocesi italiane, essa viene replicata, identica nel contenuto, innescando un dibattito che arriva a coinvolgere l’immancabile Vito Mancuso, il teologo Maurizio Gronchi e il sociologo cattolico torinese Franco Garelli. Ora, non pare molto coerente affermare la «fine della cristianità», il dovere di «ripensarci come presenza ecclesiale» e tante altre suggestive espressioni (vuote?), se poi si usano bellamente tutti gli strumenti del mondo ed il credito residuo che la Chiesa ha ancora presso i potenti, per avere visibilità e ricordare a Roma quanto si è bravi, della serie: «Non dimenticatemi eeeh!». Così come non pare eroico né il giocare sempre in casa, né il farsi difendere dall’amico Gronchi, invece di rispondere direttamente alle infondate accuse di Mancuso, estrapolatore seriale di pensieri inesistenti.

Nel merito, appare certamente vero che la cultura cristiana è in profonda crisi e che sembrerebbe ormai irrimediabilmente superata l’equivalenza tra cristianesimo e Cristianità, intendendo per «Cristianità» quella esperienza, unica e irripetibile nella storia, nella quale fede cristiana e civiltà occidentale sono coincise in una compenetrazione totalizzante di ambiti. L’analisi di Repole, oltre a ricordare il “cerchiobottismo” di ardussiana memoria, è però troppo sbrigativa e cade nell’errore “enzobianchiano” e “bosiano”, di una nostalgia della Chiesa pre-costantiniana, minoritaria e perseguitata, come se 1.700 anni di storia, di fede e di santità non avessero alcun pregio e nessun peso e potessero essere semplicemente obliterati. Come si vede siamo a quell’ermeneutica della rottura e della discontinuità verso cui Benedetto XVI aveva messo in guardia.

Si ripropone così l’errore, simmetrico, di una ingiustificata idealizzazione di quell’epoca che, invece, fu di grandi contrasti e battaglie ecclesiali, tanto da domandare la celebrazione dei primi Concili, per fare un po’ di ordine dottrinale. Certo, a fronte del relativismo assoluto di Mancuso, Repole potrebbe apparire un defensor fidei ma c’è da chiedersi se non sia proprio la sua idea fissa – darle dignità di teologia è troppo! – di una «Chiesa umile» (cioè debole) ad incrementare l’autodissolvimento, anche culturale, del cristianesimo, costretto a concepirsi e a giustificarsi solo socialmente.

Non si confonda poi la situazione torinese, con l’intero Paese. Torino non è l’Italia e il livello di secolarizzazione del capoluogo piemontese, con conseguente estraneità a Cristo, non è quello di tutta l’Italia. Esso è il frutto di molte scelte sbagliate del post-Concilio, inclusa l’umiliazione e la ridicolizzazione – potremmo portare tanti esempi – della pietà popolare, alle quali non si rimedia certamente né con la «Chiesa umile», né con lo psicologismo affettivamente caldo dei “neoboariniani”, che rimane autoreferenziale. L’analisi dell’arcivescovo non pare adeguata alla realtà, peccando di intellettualismo, tipico dei teologi mai stati pastori, né lo è la via proposta. Abbandonare il campo, rifugiandosi in una non ben definita spiritualità, sarebbe venir meno alla verità di Cristo, che non è solo «la rivelazione di un Dio vicino», come Repole ama ripetere, ma che è Dio stesso fatto uomo, definitivamente. E di questo non basta dirsi discepoli, anche radicalmente («per meno di questo non sarei credente»), ma è necessario trarne le conseguenze, traducendo nella realtà e nella storia, anche secolare, il primato di Cristo e del cristianesimo. In alternativa, tra qualche decennio, anche quel che noi conosciamo come “società civile” sarà resa insignificante da altre culture e fedi che non conoscono la distinzione dialogante tra sacro e profano e hanno diverse idee della dignità della persona.

Alla fine, la cosa più intelligente, l’ha detta Franco Garelli che da sociologo ha ricordato a tutti (compreso Repole, Mancuso e Gronchi), che i discorsi non hanno oggi più alcun effetto, e che solo le relazioni autentiche e significative possono permettere di prendere in considerazione anche la proposta cristiana. La posta in gioco per i cristiani, come si vede, è altissima, e non può risolversi in qualche dotto dibattito estivo il cui scopo è funzionale al gridolino: «Non dimeticatemi eeeh!».

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Traditores Custodes

Nonostante la proibizione di monsignor Vittorio Viola, segretario del Dicastero del Culto divino – detto nada, nada, nada – imposta al vescovo di Oviedo di far celebrare la Messa Vetus Ordo all’interno del santuario mariano, ben duemila giovani hanno partecipato, per il quarto anno consecutivo, al pellegrinaggio di Covadonga. Il rito è così stato officiato all’esterno, dopo che lungo il percorso a piedi di 82 chilometri, altre Messe erano state celebrate dagli impavidi sacerdoti presenti, rei di tanto oltraggio, ma incuranti dei fulmini vescovili. Naturalmente, cosa volete siano mai, per il liturgista Andrea Grillo, abituato alle rade canizie delle nostre chiese, duemila giovani a fronte dell’ecumene cattolico?

Nulla da dire hanno invece i liturgisti e per l’autore di Desiderio Desideravi rispetto a quanto accaduto sempre in Spagna a Huelva, dove il salesiano di Cadice, don Marco Antonio Martinez Moreno, ha celebrato in una piscina accompagnato all’altare da un ragazzo che sollevava l’Ostia e una ragazza il calice, non si sa se prima o dopo la consacrazione. In un’altra foto si vede l’altare improvvisato nella zona della piscina con tutti i giovani in acqua e un sacerdote seduto con i pedi nell’acqua e con i paramenti a mollo. Già nel 2020, lo stesso salesiano aveva eseguito giochi di prestigio durante una Messa con gli alunni di una scuola Nuestra Señora del Rosario a Rota.

Spostiamoci nel vicino Portogallo dove sta facendo il giro del web la foto di un padre gesuita il quale, seduto su di una roccia che funge da altare e con la stola progressista d’ordinanza, celebra – si fa per dire – una Messa che, quando non fosse invalida, viene ridotta a pic-nic. Forse è questa inutile e squallida sciatteria, la «nobile semplicità» (Sacrosantum Concilium) prevista dal Concilio?

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